venerdì 27 maggio 2016

Confronto tra radiatori, termoconvettori e pannelli radianti

Tratto dal sito www.qualenergia.it

Radiatori, termoconvettori o pannelli radianti? Come scegliere i sistemi di distribuzione

Confrontiamo le soluzioni per migliorare le prestazioni degli impianti domestici di riscaldamento, concentrandoci sui sistemi di distribuzione del calore e sulle possibili combinazioni tecnologiche con i diversi tipi di generatori: caldaie a condensazione, biomasse e solare termico.

In questi mesi è molto probabile che tantissimi amministratori di condominio debbano fare i conti con l’adeguamento degli impianti di riscaldamento. Entro la fine del 2016, infatti, la legge impone di aver installato sistemi di contabilizzazione e regolazione del calore negli edifici serviti da generatori centralizzati. Anche per gli appartamenti termoautonomi è bene considerare quali miglioramenti apportare al proprio impianto, nel caso di una ristrutturazione totale o parziale dell’immobile.
Vediamo allora, con l’aiuto di due esperti, quali sono le combinazioni di tecnologie disponibili per i sistemi di distribuzione del calore.
La variabilità dei carichi termici
Quando si confrontano le diverse soluzioni, cioè radiatori, termoconvettori o pannelli radianti, bisogna valutare con attenzione le caratteristiche dell’edificio. In campo domestico, l’ago della bilancia si sposta sicuramente verso i radiatori, spiega l’ingegner Francesco Paoletti.
Un’abitazione presenta un’alta variabilità dei carichi termici: nella maggior parte delle situazioni, infatti, non c’è alcuna necessità di riscaldare gli ambienti per più di qualche ora ogni giorno. Così è preferibile scegliere un sistema a bassa inerzia termica, in grado di funzionare in modalità on/off, cioè di raggiungere velocemente la temperatura desiderata e di raffreddarsi con altrettanta velocità.
L’impianto, aggiunge l’ingegner Gianluigi Arici, deve consentire una rapida e precisa regolazione della temperatura interna, secondo le circostanze che si possono verificare: presenza di persone nei locali, apporto di calore “gratuito” dagli elettrodomestici e dall’irraggiamento solare.
caloriferi di alluminio rispondono proprio a queste necessità, al pari deitermoconvettori elettrici o a gas. Questi ultimi sono da preferire se si vuole utilizzare lo stesso impianto anche per la climatizzazione estiva.
Tuttavia, osserva Paoletti, i termoconvettori hanno qualche svantaggio rispetto ai caloriferi: costano circa il doppio a parità di potenza termica (in media 3/400 € contro 150/200 di un radiatore), producono rumore quando sono accesi e sollevano un po’ di polvere negli ambienti.
La soluzione ideale può essere “mista”, con radiatori e caldaia a condensazione per il riscaldamento più qualche unità split per il raffrescamento estivo.
Radiatori in acciaio o in alluminio?
Ci sono differenze particolari tra i radiatori di alluminio e acciaio? L’alluminio, precisa Arici, è più rapido a rispondere alle regolazioni di temperatura. L’acciaio, di contro, ha una maggiore inerzia termica e, quindi, è meno portato ad assecondare le variazioni impostate dall’utente. Il vantaggio è che la caldaia lavora con più regolarità, con minori accensioni/spegnimenti che abbassano il rendimento del generatore.
La cosa più importante, evidenzia però Arici, è che l’impianto sia correttamente dimensionato per operare a bassa temperatura, permettendo così alla caldaia di funzionare sempre in condensazione, al massimo della sua efficienza.
Le temperature di mandata dovrebbero attestarsi intorno a 40-50 gradi centigradi (anziché 70-80 come negli impianti tradizionali). Questo consente di avere un minore salto termico negli ambienti, garantendo un benessere maggiore e riducendo i consumi.
Caloriferi e pannelli radianti
Infine, un appunto sui pannelli radianti a pavimento. Secondo entrambi gli ingegneri, non sono la scelta ottimale nel residenziale, a causa della loro elevata inerzia termica: l’acqua nelle serpentine continua a trasmettere calore a lungo, anche dopo lo spegnimento dell’impianto.
Questa soluzione è molto più consigliata in edifici pubblici o commerciali come ospedali, piscine, asili, centri benessere, dove è importante garantire una temperatura costante per l’intera giornata e in certi casi anche di notte.
I pannelli radianti possono essere abbinati ai termoconvettori, per avere un carico termico di base molto uniforme con il vantaggio di regolare la temperatura con una precisione maggiore.
Cosa cambia per una casa a basso consumo energetico
Il discorso cambia moltissimo se spostiamo l’attenzione sugli edifici nuovi o sottoposti a una radicale riqualificazione energetica. Per progettare una cosiddetta “casa passiva”, secondo le più recenti disposizioni normative (NZEB, cioè near to zero energy buildings) innanzitutto bisogna raggiungere un’elevatissima efficienza energetica, realizzando strutture molto coibentate e quindi termicamente isolate.
L’obiettivo è ridurre al minimo il fabbisogno energetico; allora, spiega Paoletti, èindispensabile installare un sistema VMC (ventilazione meccanica controllata) con recupero di calore, abbinato a una pompa di calore con eventuale batteria integrativa, più qualche calorifero negli ambienti più “critici”, ad esempio nei bagni.
Per soddisfare i requisiti minimi di prestazione energetica nelle comuni ristrutturazioni, specificano i due ingegneri, è sufficiente installare caldaie a condensazione con radiatori/termoconvettori.
Uno sguardo ai generatori: biomasse e solare termico
I generatori a biomasse, sostiene Paoletti, sono un’ottima soluzione per le villette in campagna, abitazioni nei piccoli paesi di zone rurali, fattorie e aziende agricole. Le caldaie a legna/pellet offrono buoni rendimenti e costi di esercizio nettamente inferiori al gas, soprattutto nelle aree non metanizzate, dove quindi bisogna impiegare il combustibile dei bomboloni (gpl).
Più difficile, invece, pensare di utilizzare caldaie a pellet nei grandi centri urbani e nei palazzi con sistemi centralizzati di riscaldamento. Gli svantaggi sono molteplici: occorre un ampio spazio da destinare allo stoccaggio della biomassa, inoltre l’impianto va ricaricato regolarmente.
Un’altra possibilità è integrare il sistema caldaia a condensazione/caloriferi con un impianto solare termico. Quest’ultimo, avverte però Paoletti, serve soprattutto a produrre acqua calda sanitaria.
La sua incidenza sul riscaldamento invernale in genere arriva al massimo al 15-20% del fabbisogno energetico complessivo: sarebbe poco conveniente sovradimensionare il solare termico per coprire una percentuale maggiore di questo fabbisogno (riducendo così il carico di lavoro della caldaia a condensazione), perché il maggior costo dell’impianto avrebbe un ritorno economico molto lungo.
In altre parole, ci vorrebbero parecchi anni per ripagare l’investimento aggiuntivo con cui installare un impianto solare termico più potente; per una soluzione “standard”destinata prevalentemente alla produzione di acqua calda sanitaria bisogna preventivare una spesa di circa 2.500 euro, più ovviamente il costo della caldaia a condensazione che si aggira intorno ai 1.500 euro.
Altre soluzioni e integrazioni di tecnologie sono state analizzate nello Speciale di QualEnergia.it "Soluzioni per una casa a basso consumo energetico".

La convenienza del fotovoltaico con batteria

Tratto dal sito www.qualenergia.it

Fotovoltaico con batteria: con gli incentivi e i prezzi attuali, quanto conviene?

Abbinare un sistema di accumulo ad un impianto fotovoltaico esistente, grazie agli incentivi disponibili consente quasi sempre di rifarsi della spesa iniziale in tempi accettabili. Un'analisi economica secondo varie casistiche, con batterie al piombo o al litio e per varie ipotesi di utenza.
Quanto costa aggiungere una batteria a un impianto fotovoltaico esistente? Ma, soprattutto, è convenienteinstallare un sistema di accumulo e, se sì, quanto si risparmia e in quanto tempo si riesce a rientrare dell'investimento?
Per rispondere a queste domande abbiamo chiesto aiuto ai ricercatori di RSE, che hanno condotto un'analisi economica, basata sui prezzi attuali dei sistemi di energy storage e sugli incentivi di cui si può usufruire al momento in Italia (qui la versione integrale dell'articolo che presenta l'analisi, curato dall'ingegner Dario Bertani di RSE).
risultati? Aggiungendo un accumulo a un impianto fotovoltaico esistente – grazie anche agli incentivi - si riesce a recuperare la spesa in tempi accettabili: soli 6 anni nei casi più favorevoli, ma i fattori in gioco sono molti e il payback time si può allungare.

Le tipologie di utenza considerate
Nell'analisi si sono considerate tre diverse variabili: la potenza dell'impianto fotovoltaico che gli utenti già possiedono, i consumi elettrici e il tipo di batterie installate.
Si è valutato il caso di un impianto fotovoltaico esistente da 3 kWp e quello in cui il sistema sia da 5 kWp, mentre in entrambe le ipotesi si è considerata una produzione di circa 1.150 ore equivalenti annue, tipica del Nord Italia, e che l'impianto goda degli incentivi del V Conto Energia.
I ricercatori di RSE sono poi andati a vedere come cambia la convenienza a seconda dei consumi, valutando profili da 2000 a 6000 kWh/anno, e della tecnologia scelta per lo storage: batterie al piombo, più economiche ma con vita utile più breve, o al litio.
Il livello di autoconsumo raggiungibile, cioè la quantità di elettricità prodotta dal fotovoltaico che si riesce a consumare senza farla passare per la rete, varia tra 50 e 80% con impianto fotovoltaico da 3 kWp, e tra 30 e 60% con impianto da 5 kWp.
Da sottolineare che nel calcolare i costi dell'elettricità prelevata dalla rete si è usata la nuova tariffa TD, non progressiva, che sarà applicata a pieno dal 2018 e che èmeno conveniente di quella attuale per chi decide di ridurre i prelievi dotandosi di un batteria, dato che fa pagare meno rispetto ad adesso coloro che consumano di più (vedi QualEnergia.it, Nuova tariffa elettrica: come cambia la convenienza di risparmio e fotovoltaico).
I costi e il dimensionamento della batteria
Nell'analisi si è considerato un costo indicativo di 700 €/kWh utile per le batterie al litio e di 250 €/kWh per il piombo, ai quali va aggiunta la spesa per il convertitore bi-direzionale, i costi di installazione e altre spese aggiuntive.
L'investimento però – a parità di tecnologia - cambia a seconda dei consumidell'utente, dato che chi consuma di più installerà una batteria con più capacità.
“Per gli utenti più energivori, con consumi da 4000 kWh/anno in su, abbiamo considerato sistemi di accumulo da circa 5,5 kWh di capacità utile – ci spiega l'ingegner Dario Bertani di RSE - Questo si traduce per il litio, per il quale consideriamo un 90% di profondità di scarica (DOD), in poco più di 6 kWh nominali, mentre per il piombo, 50% DOD, in circa 11 kWh nominali. Per gli utenti con consumo più basso, solo nel caso del litio, abbiamo ritenuto opportuno considerare una capacità inferiore, pari a circa 3,5 kWh di capacità utile.”
Ma, in soldoni, quanto si spende a seconda dei consumi e della tecnologia scelta? Chi consuma più di 4000 kWh/anno – e dunque ha bisogno di una batteria da 5,5 kWh utili – se sceglie il litio dovrà investire per lo storage, considerando tutte le spese, circa 5800€, mentre se opta per il piombo spenderà tra i 3.500 e i 4000 euro.
Chi ha consumi inferiori, se sceglie il litio può accontentarsi di un accumulo più piccolo, da 3,5 kWh, per una spesa complessiva di circa 3800 € (mentre con il piombo servirà comunque una batteria da 5,5 kWh).
Gli incentivi disponibili
Nel valutare la convenienza economica si è tenuto conto sia del contributo della Regione Lombardia, erogato all'acquisto e pari al 45-50% della spesa (si veda qui per i dettagli), che delle detrazioni fiscali del 50%, spalmate su 10 anni.
I due incentivi, come chiarito a QualEnergia.it dall'Agenzia delle Entrate, sono tra loro cumulabili, ma la detrazione fiscale si applica solo sulla parte di spesa lasciata scoperta dall'incentivo regionale.
Ad esempio, se su una spesa di 5.800 euro l'incentivo lombardo eroga subito 2.900 euro, la detrazione fiscale verrà applicata solo sui 2.900 euro restanti, con un contributo di 1.450 euro, erogati in 10 rate annuali da 145 euro, scalate dalle tasse.
In pratica su un investimento di 5.800 euro i due incentivi cumulati rimborsano complessivamente 4.350 euro. Per chi non vive in Lombardia e deve accontentarsisolo delle detrazioni fiscali del 50%; qui l'incentivo scende a 2.900 euro (erogate in 10 rate annuali da 290 euro).
Il risparmio ottenibile e il payback time
A rendere conveniente l'installazione di un sistema di accumulo su un impianto esistente, oltre all'incentivo, c'è poi ovviamente il risparmio fornito dalla batteria in sé, che permette di aumentare l'autoconsumo (il V Conto Energia, alternativo allo scambio sul posto, è in questo più conveniente per chi sceglie di mettere una batteria incentivata).
Per utente da 5000 kWh/anno – spiega Bertani - il risparmio è superiore ai300 €/anno; per chi consuma 3000 kWh/anno invece il risparmio è superiore ai200 €/anno.
Ma quanto ci vuole per rifarsi dell'investimento? Per chi sceglie le batterie al litiol'investimento può tornare in poco più di 8 anni, da confrontare con una vita utile delle batterie stimata in oltre 20.
In caso di sistemi di accumulo al piombo, grazie al minor costo della tecnologia, si scende addirittura a 6 anni, ma qui va considerato che dopo poco più di 8 anni la batteria sarà da sostituire, con la relativa spesa.
Cosa influenza il payback time
Quelli citati sopra, però sono i risultati migliori in quanto a tempo di rientro dell'investimento, riferiti a chi ha un consumo relativamente alto, tra 4000 e 5000 kWh/anno, e un impianto solare da 5 kWp. Le cose cambiano, come si vede nei grafici in basso, in altre situazioni.
Ad esempio, per utenti con gli stessi consumi indicati sopra, l’attrattivitàdell’investimento diminuisce se questi hanno un impianto fotovoltaico da 3 kWp,sottodimensionato rispetto al loro fabbisogno energetico. In questi casi infatti la percentuale di autoconsumo è già alta senza ricorrere all’accumulo, e dunque il beneficio di quest’ultimo si riduce.
Come si vede, poi, superata una certa soglia di consumo il payback time comincia ad allungarsi, in quanto anche in queste utenze si ha una quota consistente di autoconsumo già in assenza dell’accumulo.
Il risparmio in bolletta garantito dalla batteria inoltre scende per chi ha consumi bassi – sotto i 3000 kWh l'anno – anche se i tempi di rientro dell'investimento restano interessanti, di poco inferiori a 10 anni. Per questi consumatori – osservano gli autori dell'analisi - la spesa annua in energia annua è infatti piuttosto limitata e offre poco spazio per recuperare l’investimento.
Altro fattore da non trascurare per valutare la redditività dell'investimento è il livello di autoconsumo antecedente e successivo all'installazione dello storage. “È ragionevole pensare – spiega Bertani - che utenti con profili di consumoparticolarmente concentrati nelle ore serali, o utenti con impianto FV di taglia maggiore, abbiano una percentuale di autoconsumo di partenza inferiore a quella da noi calcolata, e abbiano quindi maggiori chance di rientro anticipatodell’investimento.”

Le regole per aggiungere un sistema di accumulo all'impianto fotovoltaico

Tratto dal sito www.qualenergia.it

Le regole per aggiungere un sistema di accumulo ad un impianto fotovoltaico

Tutti i chiarimenti su norme di conformità e regole tecniche per installare una batteria su un impianto solare FV esistente senza perdere gli incentivi. Quando si può e le eccezioni. Attenzione alle norme CEI di riferimento e a non fare confusione tra storage e gruppi di continuità UPS.


Quando si può installare un sistema di accumulo (SdA) su un impianto fotovoltaico esistente, senza perdere gli incentivi? Sull’argomento regna ancora un po’ di confusione, alimentata anche da chi vorrebbe utilizzare un gruppo di continuità (UPS, Uninterruptible Power Supply) alla stregua di un SdA.
In realtà, come spiega Fabio Zanellini, presidente della commissione tecnica del gruppo sistemi di accumulo/ANIE Energia, il quadro non è così fumoso come potrebbe sembrare. Stiamo parlando degli impianti collegati alle reti di distribuzione in bassa o media tensione, come il classico fotovoltaico su tetto da 3 kW di picco.
Tutti questi impianti, infatti, possono essere abbinati a un dispositivo di storageelettrico per incrementare la percentuale di autoconsumo mantenendo gli incentivi, con una sola eccezione: quelli di potenza inferiore a 20 kWp regolamentati dal primo conto energia.

Le norme CEI
Dopo una prima serie di valutazioni economiche (QualEnergia.it, Fotovoltaico con batteria: con gli incentivi e i prezzi attuali, quanto conviene?), l’utente che ha già installato pannelli fotovoltaici e vuole aggiungere un SdA deve compiere alcuni passi fondamentali.
Per prima cosa, evidenzia Zanellini, deve scegliere un sistema conforme alle normedi connessione, che sono la CEI 0-21 e la CEI 0-16, rispettivamente per gli impianti in bassa e media tensione. Tali norme riportano tutte le caratteristiche di un SdA, compresi gli schemi di misura dell’energia prodotta/scambiata con la rete. È bene ricordare, quindi, che il tecnico installatore possiede tutti gli strumenti necessari per svolgere correttamente il suo lavoro: oltre naturalmente alle già citate disposizioni CEI, vanno ricordate le delibere 574/2014 e 642/2014 dell’Autorità per l’Energia e le regole tecniche pubblicate in seguito dal GSE.
Dichiarazioni e certificazioni
In secondo luogo, l’utente deve formalizzare la modifica del suo impianto presso il gestore di rete e il GSE, attraverso una nuova richiesta di connessione per inserire il sistema di accumulo.
Come si fa però a distinguere una tecnologia di storage conforme alle norme CEI da una che non rispetta i requisiti obbligatori? Per quanto riguarda gli impianti connessiin bassa tensione, precisa Zanellini, «è sufficiente la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata dal costruttore. Tale dichiarazione deve estendersi a tutti i componenti, cioè inverter, batteria, sistema di controllo, eccetera e non limitarsi solo a qualcuno di essi. Per quanto riguarda, invece, gli impianti in media tensione, la norma CEI 0-16 indica le prove cui sottoporre un SdA. Oltre alla dichiarazione del costruttore, quindi, serve la certificazione di un organismo accreditato».
SdA e UPS: le differenze
Infine un po’ di chiarezza sulla confusione tra SdA e UPS. Qualche soggetto, prosegue Zanellini, sostiene che alcune configurazioni di UPS possono fungere da SdA senza dover richiedere le autorizzazioni previste e possedere le certificazioni necessarie. «Questa è un’interpretazione cui il combinato disposto di delibere e norme tecniche di connessione non lascia spazio, come chiarito recentemente da una FAQ dello stesso CEI», aggiunge l’esperto di ANIE Energia.
È vero, infatti, che i due apparati condividono una buona fetta delle apparecchiature, però le funzioni sono nettamente distinte. Un gruppo di continuità è pensato per funzionare solamente in condizioni di emergenza, ad esempio in seguito a un guasto sulla rete. Di solito ciò avviene poche volte l’anno e per pochi minuti, giusto il tempo di risolvere il problema che ha determinato l’interruzione della fornitura elettrica.

Un SdA, all’opposto, è pensato per funzionare continuativamente in parallelo alla rete di distribuzione. Continuativamente non significa sempre: il punto è che la sua entrata in funzione non dipende da un guasto o da un’emergenza, ma è decisa dall’utente secondo le sue esigenze; ad esempio, quando vuole sfruttare l’energia stoccata nella batteria per fronteggiare un picco di consumi, riducendo il prelievo di elettricità dalla rete.
Pertanto, termina Zanellini, non esiste una “terza via” costituita da “simil-UPS”:l’installazione di un UPS utilizzato poi come SdA non è conforme alla normativavigente e non va quindi ammessa.
I seguenti documenti sono riservati agli abbonati a QualEnergia.it PRO:

lunedì 16 maggio 2016

La valutazione dell'efficacia dei sistemi a cappotto

Tratto dal sito www.infobuildenergia.it

L’efficacia e la durabilità dei sistemi a cappotto

Come valutare durabilità, degrado dei sistemi a cappotto e prestazioni di isolamento termico nel tempo. Casi studio


Il processo di progettazione e posa dei sistemi a cappotto è molto delicato per due aspetti: la durabilità del sistema e l’efficacia. Per durabilità si intende il fatto che nel tempo il sistema possa non essere oggetto di forme di degrado fisico-chimico e che quindi nel tempo mantenga la propria consistenza. L’aspetto legato all’efficacia è invece costituito dalla prestazione di isolamento termico a seguito della posa e nel tempo.

Il degrado (ovvero la durabilità del sistema) si può monitorare nel tempo poiché distacchi, sbollature, fessurazioni ecc… compariranno nel corso degli anni (e probabilmente nelle prime stagioni).
L’aspetto legato all’efficacia è invece difficilmente riscontrabile nel tempo poiché indirettamente legato ai consumi dell’edificio oggetto di intervento di isolamento a cappotto. Una volta realizzato infatti, sarà difficile capire dai consumi, frutto di tutti i contributi disperdenti dell’edificio e dell’inefficienza del sistema impiantisco se la parete lavora con un valore di trasmittanza di progetto o, a causa di errori, con uno peggiore.
Come si può fare in modo che la committenza di un intervento di isolamento termico in generale e più specificatamente per l’intervento di isolamento di sistemi a cappotto possa avere maggiori garanzie di durabilità ed efficacia del sistema di isolamento termico?

I casi di studio
Nel corso del 2015 sono state realizzate una serie di indagini strumentali in campo prima, durante e dopo la realizzazione di sistemi a cappotto su edifici nella provincia di Milano con lo scopo di portare gli interventi ad avere un riscontro in termini di efficacia e durabilità dell’intervento di isolamento termico.
Scopo del seguente articolo è di mostrare cosa si può fare per rendere più virtuoso l’intervento di isolamento termico a cappotto sotto il profilo della durabilità e dell’efficacia.
Opportunità e criticità che possono evidenziare la possibilità di inserire da parte dei vari soggetti coinvolti nella progettazione e realizzazione anche il momento delle indagini strumentali. L’esperienza maturata nella realizzazione delle indagini strumentali ha portato a verificare la virtuosità del processo proposto e realizzato:
-          il committente ha una parte terza (rispetto all’azienda che commercializza il sistema e rispetto all’impresa che installa il sistema) che con dei punti di controllo rende molto improbabile errori legati alla durabilità o efficacia del sistema
-          l’azienda che commercializza il sistema di isolamento termico vede valorizzato e richiesto il sistema di isolamento proposto con ETA
-          l’impresa che installa il sistema di isolamento termico vede valorizzata la sua formazione e le sue capacità rispetto alla corretta posa del sistema di isolamento termico

L’obiettivo di avviare forme di collaudo e di verifica strumentale dei sistemi a cappotto è di arrivare a collaudare un intervento efficace e durevole. Indagare un intervento che poi risulta essere non corretto, non efficace e non durevole non serve a nessuno.

Le leve per il controllo dell’efficacia e della durabilità:
Lo schema riassume le leve per  garantire alla committenza l’efficacia dell’isolamento termico (ovvero che il valore di trasmittanza termica di calcolo sia quello in campo) e la durabilità del sistema (ovvero che nel tempo mantenga l’efficacia iniziale).

Schema dei punti di controllo per l’efficacia e la durabilità dell’intervento di isolamento termico

L’articolo entra nel dettaglio di alcuni di questi passaggi.

Scelta del pannello e valore di λD
Ai fini dell’efficacia dell’intervento dell’isolamento termico è necessario impiegare materiali che seguano le regole della corretta commercializzazione dei materiali proposti per l’isolamento termico.
Il valore di conduttività termica dichiarata λD, caratterizzante i materiali con marcatura CE, o materiali testati e con valori dichiarati in accordo con le indicazioni della norma UNI EN ISO 10456, porta ad avere in cantiere pannelli con un valore in campo efficace. Nel percorso di “verifica strumentale” proposto, una delle attività realizzate è il prelevamento in cantiere di un numero rappresentativo di pannelli (in accordo con UNI EN ISO 10456) che vengono poi testati in regime stazionario in accordo con la norma ISO 9869. Il rango di questo test non è certamente eguale a quello di un laboratorio certificato e notificato, ma l’informazione che si ricava è utile ai fini del collaudo strumentale finale. Da queste misure infatti si ottengono risultati che evidenziano la bontà del materiale proposto. Successivamente, in relazione ad eventuali risultati negativi della misura di parete, si potrà escludere che la causa sia il materiale isolante.
Nel caso di prodotti con conduttività dichiarata λD, lamisura ha restituito, sulla base dell’esperienza maturata di centinaia di misure dal 2004, valori coerenti derivanti dalla natura delle modalità di misurazione e dichiarazione del valore di conduttività dichiarata.

Pannelli in cantiere e regime stazionario
I campioni di pannello vengono quindi raccolti in cantiere e si procede nel eseguire una misura di conduttanza termica in regime stazionario. La misura si realizza imponendo una differenza di temperatura su un campione di prodotto da 50x50 cm circa e misurandone la temperatura superficiale interna, esterna e di flusso. L’immagine termografica mostra uniformità di distribuzione di temperatura superficiale e quindi il contenimento degli effetti di bordo di trasmissione del calore bidimensionale.

Immagine termografica e che mostra l’omogeneità della distribuzione di temperatura e il controllo degli effetti di bordo


Il grafico mostra le temperature che si sviluppano e il valore di conduttività misurata in regime stazionario coerente con il valore dichiarato dall’etichetta di marcatura CE.

Misure istantanee di regime stazionario, temperatura superficiale interna, esterna e flusso e valore di conduttanza (tratteggiato)

Misura in regime stazionario della conduttività termica del prodotto isolante


Misura della tramittanza
Sono state eseguite delle misure di trasmittanza in opera prima dell’intervento sulle pareti oggetto di intervento. La parete è costituita da un doppio tavolato con un’intercapedine d’aria e il valore medio di più misure ha comportato una stima di trasmittanza termica pari a U = 1.13 W/m²K.

Risultati sui valori medi progressivi misura pareteMisura in opera della trasmittanza termica delle pareti prima dell’intervento (A e B) e dopo l’intervento C


Dopo l’intervento di isolamento termico con sistema a cappotto con resistenza termica del prodotto pari a RD = 3.90 il valore di progetto della trasmittanza è pari a 0.21 W/m²K. Il valore di trasmittanza termica misurata in opera è pari a 0.28 W/m²K. Con le tolleranze di errore proprie della misura (ante e post) si conferma la bontà dell’efficacia dell’isolamento termico della struttura.

Il fenomeno di bypass 
Si ritiene che la misura della trasmittanza in opera sia estremamente rilevante ai fini della verifica dell’efficacia dell’isolamento termico poiché il fenomeno di bypass termico che può essere presente in qualsiasi intervento di isolamento termico non ben eseguito può vanificane appunto l’efficacia.

Il sistema di incollaggio e le modalità di posa della guida di partenza e della parte di chiusura superiore influenzano infatti il comportamento del materiale isolante. L’aria esterna infatti non deve potersi infiltrare dietro il materiale isolante. Se ciò accade l’efficacia del materiale isolante può essere compromessa a seconda del grado di infiltrazione d’aria. L’indagine termografica potrebbe mostrare temperature superficiali esterne che sono frutto non della bontà dell’isolante ma dell’assenza di trasmissione di calore e quindi non vedono tale fenomeno. La misura di flusso termico evidenzia invece se la quantità di energia uscente è elevato o meno e quindi la misura della trasmittanza termica è il solo modo diretto per individuarle. Il bypass termico provoca l’inefficacia totale o parziale del materiale isolante.

Collaudo strumentale – indagini passive e attive sul sistema a cappotto
Ai fini della durabilità del sistema a cappotto è importante che il sistema sia stato posato in accordo con le regole della corretta posa. Tra i passaggi importanti per la corretta posa vi è l’assenza di giunti tra i pannelli o, nell’eventualità che si creino tali giunti, la correzione con materiale isolante degli stessi. Per quanto riguarda i tasselli, sono presenti anche indicazioni relative alla posizione in funzione del tipo di materiale proposto per l’intervento di isolamento. La corretta posa del sistema a cappotto è stato oggetto di verifica durante il cantiere delle varie fasi. A conclusione dell’intervento sono state realizzate, contestualmente alle indagini di trasmittanza in opera, anche indagini termografiche che possono mostrare rapidamente in fase di caricamento o scaricamento solare o in regime stazionario:
  • presenza di errori di giunti o altre irregolarità
  • presenza di tasselli
  • corretta posizione dei tasselli
  • corretta posizione dei pannelli e dello sfalsamento.
Seguono alcuni esempi di indagini termografiche passive e attive che evidenziano la lettura della modalità di posa dei tasselli, l’uniformità della distribuzione di temperatura superficiale.

Immagini termografiche di corretta posa del sistema a cappotto, omogeneità di distribuzione di temperatura e posizione coerente dei tasselli

Esempio di immagine termografica di non corretta posa del sistema a cappotto, errori concentrati dei giunti e di altre irregolarità termiche

Report conclusivo
Come si conclude il tipo di intervento proposto?
E’ possibile realizzare un report conclusivo che possa evidenziare la conformità o meno di quanto rilevato in campo con quanto progettato o con la regola dell’arte. L’eventuale non conformità può essere “non grave” e quindi presentarsi solo in alcuni punti o “grave” e quindi essere presente in modo sistematico.


Conclusioni:
L’attività di misura strumentale da applicarsi ad interventi di isolamento termico porta a un risultato virtuoso del ciclo di progettazione e realizzazione di tali interventi. Il committente avrà un intervento efficace e durabile nel tempo. Le aziende che commercializzano sistemi volontari certificati con ETA per il cappotto saranno valorizzate e così anche i posatori che si sono aggiornati e che sono formati nei confronti della corretta posa.

Dove può essere inserita l’attività di collaudo dei sistemi a cappotto?
  • nei capitolati lavori
  • nei requisiti richiesti per garantire l’assicurazione sui lavori eseguiti
  • da parte di enti terzi che si occupano di certificare la bontà delle soluzioni proposte
  • da parte del mondo professionale in aggiunta alla progettazione e direzione lavori
  • durante la fase di diagnosi energetica iniziale con il collaudo degli interventi di retrofit
Negli ultimi anni sono variati rispetto al passato (prima del DLgs 192 del 2005) due aspetti centrali nel mondo dell’isolamento termico:
- l’introduzione del valore di conduttività termica dichiarata con la marcatura CE
- l’aumento dello spessore complessivo dei prodotti di isolamento termico impiegati in edilizia

Ciò ha comportato una modifica della prestazioni delle strutture opache importante: se ben progettate (ovvero con prodotti seri) e ben realizzate (ovvero senza errori di posa), le strutture opache hanno un comportamento in opera estremamente vicino al calcolo predittivo. La vicinanza, misurata in campo, tra il valore di progetto e il valore in opera, è un dato estremamente rassicurante per il mondo che ruota attorno all’efficientamento energetico. Come progettista, come committente, come gestore di servizio di calore, come amministrazione pubblica, come property o asset manager, sappiamo che le valutazioni legate al beneficio economico dell’intervento o al miglioramento del comfort sono certe. Sempre attuale quindi l’espressione “isolare conviene!”.

domenica 15 maggio 2016

Bonus mobili giovani coppie

Tratto dal sito www.biblus.acca.it

Bonus mobili giovani coppie, come recuperare il 50% delle spese sostenute

Bonus mobili giovani coppie, tutto quello che occorre sapere per recuperare le spese nella nuova guida dell’Agenzia delle Entrate

Bonus mobili giovani coppie, cos’è

Le giovani coppie che nel 2015 hanno acquistato l’abitazione principale o che lo faranno entro il 31 dicembre 2016 possono usufruire del bonus mobili.
L’agevolazione consiste in una detrazione dall’Irpef del 50% delle spese sostenute per l’acquisto di mobili nuovi destinati ad arredare l’abitazione acquistata.
I mobili devono essere acquistati nell’anno 2016.

Bonus mobili giovani coppie, a chi spetta

Il bonus mobili per le giovani coppie è riservato:
  • alle coppie che nel 2016 risultano coniugate
  • alle coppie conviventi more uxorio (come se fossero sposate) da almeno tre anni
Inoltre, è necessario che almeno uno dei componenti della coppia non abbia ancora i 35 anni di età.
Il requisito dell’età si intende rispettato da coloro che compiono 35 anni nell’anno 2016, a prescindere dalla data di compleanno. Pertanto è sufficiente che almeno uno dei componenti sia nato non prima del 1981.
Inoltre, il requisito della convivenza (almeno 3 anni) deve risultare nell’anno 2016 ed essere attestato dall’iscrizione dei 2 componenti nello stesso stato di famiglia o mediante autocertificazione.

Bonus mobili giovani coppie e acquisto nuova casa

Per avere diritto al bonus mobili è indispensabile aver acquistato o acquistare, a titolo oneroso o gratuito, un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale della giovane coppia.
Ecco i requisiti:
  • la compravendita deve avvenire negli anni 2015 o 2016
  • l’immobile deve essere adibito ad abitazione principale di entrambi i componenti della giovane coppia
  • la destinazione di abitazione principale per entrambi deve mantenersi anche nell’anno 2016, per le compravendite avvenute nel 2015
  • la destinazione ad abitazione principale può avvenire entro il termine di presentazione del modello Unico Persone fisiche 2017 (dichiarazione dei redditi del 2016) per le abitazioni acquistate nel corso del 2016

Bonus mobili giovani coppie, acquisti agevolabili

La detrazione spetta per le spese sostenute dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 per l’acquisto di mobili nuovi destinati ad arredare l’abitazione principale della giovane coppia. Non spetta, invece, per l’acquisto di grandi elettrodomestici. Rientrano nell’agevolazione, per esempio:
  • letti
  • armadi
  • cassettiere
  • librerie
  • scrivanie
  • tavoli
  • sedie
  • comodini
  • divani
  • poltrone
  • credenze
  • materassi
  • apparecchi di illuminazione

Bonus mobili giovani coppie, l’importo massimo dei lavori

La detrazione del 50% va calcolata su un importo massimo di 16.000 euro e va ripartita in 10 quote annuali di pari importo. Questo importo va comunque riferito alla coppia. Quindi, se le spese sostenute sono superiori a 16.000 euro la detrazione deve essere calcolata su tale importo massimo e ripartita fra i componenti la coppia in base alla spesa che ciascuno di essi ha sostenuto.

Come ottenere il bonus

La detrazione per l’acquisto di mobili si ottiene indicando le spese sostenute nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2016, ossia il modello 730 oppure Unico persone fisiche da presentare nel 2017.

Come effettuare i pagamenti

Per usufruire del bonus mobili occorre pagare con bonifico oppure con mezzo elettronico tracciabile  (bancomat o carta credito). Non è consentito, invece, effettuare il pagamento con assegni bancari, contanti o altre modalità.
Se il pagamento è disposto con bonifico bancario o postale, non è necessario utilizzare quello (soggetto a ritenuta) appositamente predisposto da banche e Poste italiane S.p.A. per le spese di ristrutturazione edilizia.
Stesse modalità devono essere osservate per il pagamento delle spese di trasporto e montaggio dei beni.

In allegato proponiamo la nuova guida dell’Agenzia delle Entrate aggiornata ad aprile 2016.

martedì 3 maggio 2016

Valorizzare i beni significativi

Tratto dal sito www.legislazionetecnica.it

LE REGOLE GENERALI PER L’IVA AL 10% NEGLI INTERVENTI DI RECUPERO - L’articolo 7, comma 1, lettera b), della Legge 23 dicembre 1999, n. 488, consente di applicare l’aliquota IVA del 10% alle “prestazioni aventi per oggetto interventi di recupero del patrimonio edilizio realizzati su fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata”: manutenzioni ordinarie o straordinarie, restauri/risanamenti conservativi; ristrutturazioni edilizie.
La predetta disposizione precisa inoltre che “Con decreto del Ministro delle finanze sono individuati i beni che costituiscono una parte significativa del valore delle forniture effettuate nell'ambito delle prestazioni di cui alla presente lettera, ai quali l'aliquota ridotta si applica fino a concorrenza del valore complessivo della prestazione relativa all'intervento di recupero, al netto del valore dei predetti beni” ([1]).
A loro volta, i “beni significativi” sono tassativamente individuati dal Decreto del Ministero delle Finanze 29 dicembre 1999: “ascensori e montacarichi; infissi esterni ed interni; caldaie; video citofoni; apparecchiature di condizionamento e riciclo dell'aria; sanitari e rubinetterie da bagno; impianti di sicurezza”.
LA PRASSI DELL’AGENZIA ENTRATE SU COME CALCOLARE IL VALORE DEI “BENI SIGNIFICATIVI” -Nel suddetto contesto di regole, la Risoluzione 06/03/2015, n. 25/E ha precisato che se un’impresa produce infissi su misura che poi installa nelle abitazioni dei propri clienti deve valorizzare tali beni considerandotutti i costi necessari per la loro produzione, dunque non solo le materie prime ma anche, ad esempio, le quote di costo riferibili alla manodopera impiegata per la produzione dei beni significativi.
Il concetto è stato poi meglio precisato con la Circolare 08/04/2016, n. 12/E, che al punto 17.2 ha ulteriormente chiarito che, ove nel quadro dell’intervento di installazione degli infissi siano forniti anche componenti e parti staccate degli stessi, sia necessario verificare se tali parti siano connotate o meno da unaautonomia funzionale rispetto al manufatto principale. In presenza di detta autonomia il componente o la parte staccata non devono essere ricompresi nel valore dell’infisso, ai fini della verifica della quota di valore eventualmente non agevolabile. Viceversa, se il componente o la parte staccata concorre alla normale funzionalità dell’infisso, deve ritenersi costituisca parte integrante dell’infisso stesso. In tale ipotesi, il valore del componente o della parte staccata deve confluire, ai fini della determinazione del limite cui applicare l’agevolazione, nel valore dei beni significativi e non nel valore della prestazione.
Questi chiarimenti assumono valore per qualsiasi tipo di bene significativo utilizzato, se rientrante nel predetto elenco tassativo.
La Risoluzione 25/E/2015 ricorda anche che il meccanismo di cui all’articolo 7 citato si applica a prescindere dal tipo di contratto sottostante alla prestazione (appalto oppure cessione con posa in opera) e che l’aliquota IVA di favore (10%) si applica senz’altro alle materie prime e semilavorate e agli altri beni necessari per l’esecuzione dei lavori forniti nell’ambito dell’intervento agevolato (i quali tutti confluiscono nel valore della manodopera, cosicché non si rende necessaria una loro distinta indicazione ai fini del trattamento fiscale), tranne che ai cosiddetti “beni di valore significativo”, in relazione ai quali la legge e la prassi agenziale hanno previsto che l’aliquota intermedia si applica solo fino a concorrenza del valore della prestazione al netto del valore dei predetti beni, limite di valore che deve essere calcolato sottraendo dall’importo complessivo della prestazione, rappresentato dall’intero corrispettivo dovuto dal committente, soltanto il valore dei beni significativi.
ESEMPI - Evidenziamo con alcuni esempi, per massima chiarezza, le conseguenze derivanti dall’applicare ai beni di valore significativo una configurazione di costi più o meno completa, a parità di valore della prestazione complessiva, che ipotizziamo di seguito essere sempre pari a 10.000. Come risulterà evidente, tanto più alto è il valore attribuito al bene significativo, tanto meno conveniente diventa per il cliente l’applicazione dell’IVA sulla prestazione complessiva applicando il particolare meccanismo derivante dall’articolo 7 della L. 488/1999.
Per ulteriori approfondimenti sulla tematica dell’aliquota IVA sulle prestazioni di recupero in edilizia si fa rinvio all’approfondimento dal titolo Il trattamento IVA nei servizi di recupero in edilizia.
Esempio 1L’intero corrispettivo (10.000) è assoggettabile a IVA 10% se il valore del bene significativo non supera la metà del totale della prestazione (5.000).
Esempio 2Se il bene di valore significativo viene valorizzato in misura pari a 5.500, allora su 9.000 si può applicare l’aliquota IVA del 10% (10.000 - 5.500 = 4.500; 4.500 * 2 = 9.000), mentre sui restanti 1.000 si rende applicabile l’aliquota IVA ordinaria (22%).
Esempio 3Se il bene di valore significativo viene valorizzato in misura pari a 7.000 - ossia, considerando altri costi oltre a quelli dei soli materiali - allora solo su 6.000 si può applicare l’aliquota IVA del 10% (10.000 - 7.000 = 3.000; 3.000 * 2 = 6.000), mentre sui restanti 4.000 si rende applicabile l’aliquota IVA ordinaria (22%).


([1])Nella pratica, la citata norma viene applicata essenzialmente per le prestazioni di manutenzione, ordinaria o straordinaria, mentre per i restauri/risanamenti conservativi e per le ristrutturazioni è più vantaggioso applicare il punto 127-quaterdecies della Tabella A, parte III, del D.P.R. 633/1972, in quanto esso non attribuisce rilevanza alcuna alla presenza di beni di valore significativo e permette di applicare l’aliquota IVA del 10% all’intera prestazione.