TITOLI ABILITATIVI IN EDILIZIA
I titoli abilitativi edilizi sono disciplinati dal testo unico sull’edilizia (D.P.R. 380/2001) e sono rappresentati da:
• CIL (Comunicazione di Inizio Lavori) e CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata)
• SCIA (segnalazione certificata di inizio attività)
• Permesso di costruire
• Super-DIA
INTERVENTI EDILIZI
I titoli abilitativi sono strettamente legati alla tipologia di interventi da eseguire.
Il D.P.R. 380/2001, all’art. 3, definisce le seguenti tipologie di interventi:
• interventi di manutenzione ordinaria: interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento
e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti
tecnologici esistenti
• interventi di manutenzione straordinaria: opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non
alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Sono inclusi
anche gli interventi frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se
comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non
sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso
• interventi di restauro e di risanamento conservativo: interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali
interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio,
l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli
elementi estranei all’organismo edilizio
• interventi di ristrutturazione edilizia: interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione,
la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente
consistenza
• interventi di nuova costruzione: quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti
nelle categorie definite alle lettere precedenti sono comunque da considerarsi tali:
• la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti
all’esterno della sagoma esistente
• gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune
• la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la
trasformazione in via permanente di suolo inedificato
• l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione
• l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro,
oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture
ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti
• gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla
zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume
dell’edificio principale
• la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive
all’aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo
inedificato
• interventi di ristrutturazione urbanistica: interventi rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio
con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei
lotti, degli isolati e della rete stradale
ATTIVITÀ di EDILIZIA LIBERA (nessun titolo abilitativo)
L’art. 6 comma 1 del D.P.R. 380/2001 definisce una serie di interventi di edilizia libera che possono essere
eseguiti senza alcun titolo abilitativo :
• gli interventi di manutenzione ordinaria
• gli interventi di installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile nominale inferiore a
12 kW
• gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe
o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio
• le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico
• i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvopastorali
• le serre mobili stagionali, sprovviste di strutture in muratura, funzionali allo svolgimento dell’attività agricola
CIL (COMUNICAZIONE DI INIZIO LAVORI)
La CIL (Comunicazione di Inizio Lavori) è una comunicazione da presentare allo Sportello unico per l’edilizia per
realizzare determinati tipi di interventi di edilizia libera.
In particolare, l’articolo 6 comma 2 del D.P.R. 380/2001 prevede che i lavori da realizzare previa presentazione della
CIL sono i seguenti:
• opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse
al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni
• opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni
• realizzazione di intercapedini interamente interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque,
locali tombati
• pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona A) del DM 1444/1968
• aree ludiche senza fini di lucro
• elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici
La comunicazione di inizio lavori viene presentata compilando apposita modulistica.
Il modello unico nazionale di CIL è stato definito nella Conferenza Unificata del 18 dicembre 2014.
CILA (COMUNICAZIONE DI INIZIO LAVORI ASSEVERATA)
La CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata) è una comunicazione che l’avente diritto presenta al Comune
per realizzare i lavori di edilizia libera, definiti all’articolo 6, comma 2 lettera a) ed e-bis) del D.P.R. 380/2001.
La comunicazione di inizio lavori asseverata viene presentata allegando all’apposita modulistica l’elaborato
progettuale e l’asseverazione di un tecnico abilitato, il quale attesta sotto la propria responsabilità che:
• i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati
• i lavori sono conformi ai regolamenti edilizi vigenti
• i lavori sono compatibili con la normativa in materia sismica
• i lavori sono compatibili con la normativa sul rendimento energetico nell’edilizia
• i lavori non interessano le parti strutturali dell’edificio
I lavori per i quali è necessario presentare la CILA sono definiti dall’ art. 6 comma 2 lettera a) ed e-bis):
• gli interventi di manutenzione straordinaria
• l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali
dell’edificio […]
• le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio
d’impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali
• le modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa
La comunicazione di inizio lavori viene presentata compilando apposita modulistica.
Il modello unico nazionale di CILA è stato definito nella Conferenza Unificata del 18 dicembre 2014.
SCIA (SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ)
La SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) consente la realizzazione di interventi edilizi dopo aver
presentato al Comune (Sportello unico per l’edilizia) l’apposita documentazione asseverata da un tecnico abilitato.
La SCIA è un titolo edilizio, al pari del permesso di costruire, che si forma solo se sussistono tutte le condizioni e i
requisiti previsti dalla normativa vigente; in questo caso, l’onere della verifica viene trasferito dal Comune al privato,
che attesta ed autocertifica, grazie al ricorso ad un tecnico abilitato, l’esistenza di tutti i presupposti per
realizzare l’intervento.
L’articolo 22 del D.P.R. 380/2001 stabilisce che sono realizzabili mediante SCIA gli interventi non riconducibili
all’elenco di cui all’articolo 10 (soggetti a permesso di costruire) e all’articolo 6 (edilizia libera), che siano conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Sono, altresì, realizzabili mediante SCIA le varianti a permessi di costruire che:
• non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie
• non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia
• non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42
• non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire
Sono realizzabili, inoltre, mediante SCIA e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a
permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle
prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla
normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico
e dalle altre normative di settore.
Il modello unico nazionale di SCIA è stato definito nella Conferenza Unificata del 12 giugno 2014.
Super-DIA
La super-DIA è disciplinata dall’art. 22 del D.P.R. 380/2001 e consente di realizzare, in alternativa al permesso di
costruire, i seguenti interventi:
• interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino un aumento di unità immobiliari, una modifica del volume, della sagoma, dei prospetti
o delle superfici di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c)
• gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani
attuativi comunque denominati […]
• gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali
recanti precise disposizioni plano-volumetriche
La super DIA va presentata al Comune almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori e ad essa sono allegati la
relazione tecnica a firma di un tecnico abilitato, tutti gli elaborarti progettuali, l’asseverazione della conformità delle
opere da realizzare alle norme urbanistiche, edilizie, di sicurezza e igienico sanitarie.
Il modello unico nazionale di Super-DIA è stato definito nella Conferenza Unificata del 16 luglio 2015.
PERMESSO DI COSTRUIRE
Il permesso di costruire è disciplinato dagli articoli da 10 a 20 D.P.R. 380/2001; costituisce un’autorizzazione
amministrativa rilasciata dal Comune, che consente l’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, in conformità agli strumenti di pianificazione urbanistica.
Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica e trasformazione edilizia del territorio e sono subordinati
a permesso di costruire:
• gli interventi di nuova costruzione
• gli interventi di ristrutturazione urbanistica
• gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti
• limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, interventi che comportino mutamenti della
destinazione d’uso e interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai
sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
La domanda per il rilascio del permesso di costruire deve essere corredata da:
• attestazione concernente il titolo di legittimazione
• relazione tecnica a firma di un tecnico abilitato
• elaborarti progettuali richiesti dal regolamento edilizio
• asseverazione della conformità delle opere da realizzare alle norme urbanistiche, edilizie, di sicurezza e
igienico sanitarie
Il modello unico nazionale di Permesso di costruire è stato definito nella Conferenza Unificata del 12 giugno 2014.
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mercoledì 9 dicembre 2015
Gli obblighi per la progettazione dei camini
Tratto dal sito www.casaeclima.com
L' art. 1 del D.M. 37/2008 definisce l'ambito di applicazione del decreto medesimo. In particolar modo la lettera c) di tale articolo riporta:
c) impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali;
Questo significa che a partire dal 27 marzo 2008, data di entrata in vigore del decreto,tutte le canne fumarie costruite ex novo oppure soggette a risttutturazione devono essere dotate della dichiarazione di conformità. La dichiarazione di conformità va redatta alla fine dei lavori a cura della ditta che ha realizzato o ristrutturato il camino. Una copia va rilasciata al committente, una va depositata presso l'ufficio tecnico del Comune di appartenenza e una copia rimane alla ditta che ha realizzato il manufatto. E' bene precisare che un camino esistente, indipendentemente dalla presenza o meno della dichiarazione di conformità, se sottoposto a ristrutturazione o rifacimento necessita della redazione di una nuova dichiarazione.
Il progetto del camino realizzato da un progettista contiene almeno:Vediamo invece quali sono gli obblighi per quanto riguarda la progettazione della canna fumaria. Secondo l'art. 5 comma 1 del DM 37/2008, il progetto per la costruzione di un nuovo camino o la ristrutturazione di un camino esistente deve essere sempre redatto e allegato alla dichiarazione di conformità. Per canne fumarie asservite ad impianti di potenza maggiore di 50kW oppure per impianti di qualsiasi potenza allacciati a canne collettive ramificate, il progetto della canna fumaria deve essere redatto da un professionista iscritto agli albi professionali. Nei rimanenti casi il progetto può essere redatto direttamente dal responsabile tecnico della ditta che realizza o ristruttura il camino.
- lo schema del camino;
- la planimetria per la localizzazione del manufatto;
- una relazione tecnica sulla tipologia e caratteristiche dei materiali e componenti da utilizzare;
- le misure di prevenzione incendi e di sicurezza da adottare nel rispetto della specifica normativa tecnica di riferimento.
Il progetto del camino realizzato dal responsabile tecnico della ditta che realizza o ristruttura il camino contiene almeno:
- lo schema del camino;
- la descrizione funzionale ed effettiva dell'opera.
Le norme principali a cui fare riferimento per la progettazione dei camini sono:
- UNi13384-1:2008 metodi di calcolo per camini asserviti a un solo apparecchio
- UNi13384-2:2009 metodi di calcolo per camini asserviti a più apparecchi
- UNi15287:2010 metodo di calcolo termico e fluidodimanico per il calcolo delle distanza da materiale combustibile
- UNi10640:1997 progettazione e verifica delle canne fumarie per apparecchi tipo B a gas a tiraggio naturale
- UNi10641:2013 progettazione e verifica delle canne fumarie per apparecchi tipo C a gas di tipo soffiato
Le norme principali per la realizzazione dei camini a cui fare riferimento nelle dichiarazioni di conformità sono:
- UNi7129-3:2008 criteri dei sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione asserviti ad apparecchi domestici
- D.Lgs.152/2006 Allegato IX parte II requisiti tecnici e costruttivi dei camini per impianti maggiori di 35kW
- UNi10845:2000 criteri di verifica, risanamento, ristrutturazione ed intubamento camini apparecchi a gas
- UNi10683:20012 verifica, installazione, controllo e manutenzione di generatori di calore alimentati a biomassa
- UNiTS11278:2008 criteri di scelta di canne fumarie, camini, condotti e canali da fumo - placca fumi
martedì 8 dicembre 2015
Come rendere l'impianto di riscaldamento più efficiente
- FARE LA MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI
- CONTROLLARE LA TEMPERATURA AMBIENTE: Scaldare troppo la casa fa male alla salute e alle tasche: la normativa consente una temperatura di 20 - 22° gradi, ma 19° sono più che sufficienti a garantire il comfort necessario. Attenzione, inoltre, perché ogni grado abbassato si traduce in un risparmio dal 5 al 10% sui consumi di combustibile.
- ATTENZIONE ALLE ORE DI ACCENSIONE: Occorre fare attenzione a quali sono le ore di accensione permesse dalle legislazioni locali.
- USARE I CRONOTERMOSTATI
- APPLICARE VALVOLE TERMOSTATICHE
- INSTALLARE PANNELLI RIFLETTENTI TRA MURO E TERMOSIFONE
- SCHERMARE LE FINESTRE LA NOTTE
- FARE IL CHECK UP ALLA PROPRIA CASA: L’isolamento termico su pareti e finestre dell’edificio è un aspetto da non trascurare: se la costruzione è stata fatta prima del 2008, probabilmente non rispetta le attuali normative sul contenimento dei consumi energetici e conviene valutare un intervento per isolare le pareti e sostituire le finestre. Con nuovi modelli che disperdono meno calore, il beneficio può essere doppio: si riducono i consumi di energia fino al 20% e si può usufruire dei cosiddetti ecobonus, la detrazione fiscale del 65%.
- IMPIANTI DI RISCALDAMENTO INNOVATIVI
- EVITARE OSTACOLI DAVANTI E SOPRA I TERMOSIFONI
lunedì 7 dicembre 2015
Alcune indicazioni sulle detrazioni fiscali
Alcuni spunti presi dal periodico "L'esperto risponde" de Il sole 24 Ore
- Se effettuo un intervento di sola sostituzione dei cassettoni delle tapparelle, anche se ottengo un beneficio in termini di efficienza energetica, l'intevento ottiene solamente il beneficio del 50% in quanto il 65% è ottenibile solamente in abbinamento alla sostituzione degli infissi;
- Se sostituisco gli infissi in un locale commerciale, quindi un bene strumentale, posso ottenere l'agevolazione del 65% per il miglioramento energetico, ma non quella alternativa del 50 % per prevenzione di atti illeciti, in quanto applicabile quest'ultima solo su immobili residenziali.
Il recupero del sottotetto
Tratto dal sito www.preventivi.it
Il problema dell’emergenza abitativa si è intrecciato negli ultimi anni con un altro tema molto importante, quello relativo a città sempre più ampie, le cui possibilità di allargamento si sono quasi esaurite, sconsigliando la costruzione di nuovi moduli abitativi. Proprio questa impossibilità ha costretto il mondo economico e politico ad interrogarsi sulla possibilità di trovare nuove soluzioni in grado di tenere insieme due esigenze all’apparenza contrapposte. Una delle possibili soluzioni in tal senso è quella rappresentata dal sottotetto, che ha portato al varo di una serie di normative regionali atte al recupero ad uso abitativo di quelli esistenti. Normative che al momento attuale rappresentano una grande opportunità non solo architettonica, ma anche sociale. Le normative in questione, infatti, sono state varate con un fine ambientale preciso e teso a ridurre o almeno limitare drasticamente l’espansione delle città e il conseguente sfruttamento intensivo delle risorse territoriali, che non sono inesauribili.
Al proposito va ricordato che uno degli orientamenti da parte di chi desidera , ad esempio la nascita di un figlio, o avere un’abitazione più grande, è lo spostamento in periferia. Una esigenza che nasce dalla particolarità del mercato immobiliare italiano, ancora oggi dominato da prezzi eccessivi nonostante la crisi economica che ha dimezzato il volume di compravendite rispetto agli anni precedenti, e lo scoppio della bolla dei mutui Subprime. Ove in periferia non si riesca a trovare quanto desiderato, l’alternativa più valida diventa proprio quella del sottotetto, ovvero dell’estensione dell’abitazione verso l’alto. Una possibilità che le normative vigenti concedono ove il sottotetto non sia indicato negli atti catastali come parte comune o non sia stato frazionato tra i differenti proprietari del condominio, diventando automaticamente di proprietà dell’appartamento situato all’ultimo piano. Nel caso questa condizione preliminare sussista, non serve alcuna autorizzazione da parte del condominio, verso il quale il proprietario è soltanto tenuto a dare puntuale informazione riguardo all’attività che sta per intraprendere, come del resto indicato dall’articolo 1102 del Codice Civile, prima di intraprendere i lavori per la ristrutturazione. Per poterli iniziare, deve però avere un permesso di costruire o unaD.I.A. (Denuncia Inizio Attività ) oppure una S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), introdotta dalla Legge 122 del 30 luglio 2010 in sostituzione della prima.
Sottotetto: la ristrutturazione è premiata con agevolazioni fiscali
Anche il sottotetto gode della detrazione IRPEF del 50% cui hanno diritto gli interventi di ristrutturazione, da scalare in dieci annualità di pari importo sulla dichiarazione dei redditi. L’importo in questione deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi a partire dall’anno successivo a quello in cui sono stati effettuati i lavori. La suddetta possibilità, prorogata anche per tutto il 2016, sulla base di quanto deciso dal Ddl di Stabilità. Va anche ricordato che il massimale di spesa che può essere coperto dal benefit è situato a 96mila euro.
Possono usufruire di queste agevolazioni:
– Il titolare di un reale diritto di godimento (uso, usufrutto, abitazione o superficie);
– i soci di cooperative divise e indivise e di società semplici;
– gli imprenditori individuali, per gli immobili che non rientrino fra quelli strumentali oppure destinati a magazzino.
Lo sconto fiscale viene concesso per i lavori elencati dall’articolo 31 della legge 457emanata il 5 agosto 1978, ovvero gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro (categoria in cui rientra appunto il recupero del sottotetto) e risanamento conservativo, e ristrutturazione edilizia. Le spese premiate dal beneficio sono quelle per la progettazione e le altre prestazioni professionali connesse o comunque richieste dal tipo di intervento, relative alla messa in regola degli edifici ai sensi della legge 46/90 (impianti elettrici impianti a metano), per l’acquisto dei materiali, per la corresponsione di compensi per la relazione di conformità dei lavori alle leggi vigenti, per l’effettuazione di perizie e sopralluoghi, IVA, imposta di bollo e diritti pagati per le concessioni, le autorizzazioni e le denunce di inizio lavori e, infine, gli oneri di urbanizzazione.
Sottotetto: la riforma del condominio
La riforma del condominio, conseguente alla Legge 220 dell’11 dicembre 2012, entrata in vigore dal 18 giugno del 2013, ha provveduto a modificare l’articolo 1117 del Codice Civile. Grazie a questa modifica, ora tra le parti comuni dell’edificio vengono individuati, “i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune”, a differenza di quanto succedeva precedentemente. A patto, però, che il sottotetto presenti caratteristiche strutturali e funzionali tali da palesarne la destinazione a servizio del condominio. In conseguenza di ciò la valutazione deve essere portata avanti caso per caso, sulla base di un’analisi in grado di tenere conto delle caratteristiche strutturali e funzionali dell’oggetto in questione. E’ proprio la giurisprudenza a stabilire che nel caso in cui il sottotetto risulti oggettivamente destinato all’uso comune, deve vedersi riconosciuta la qualifica di bene condominiale, con quello che ne consegue, mentre ove sia destinato unicamente a isolare e coibentare l’appartamento sottostante, al fine di proteggerlo da caldo, freddo e umidità, deve essere considerato pertinenza dell’abitazione sottostante e, di conseguenza , bene di proprietà privata e non condominiale.
Sottotetto abitabile: l’altezza minima
Per quanto concerne l’altezza minima che deve avere un sottotetto, va ricordato che già esiste una normativa nazionale in merito, ovvero la legge 457 del 1978 che, all’articolo 43, provvede a stabilire alcuni parametri in tal senso:
- l’altezza minima dal pavimento deve essere di 2,7 metri per i locali ad uso soggiorno e 2,4 metri per i locali di servizio, come ad esempio bagni e corridoi. Nei comuni montani situati al di sopra dei 1.000 metri sul livello del mare, tenendo conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia, può essere permessa una riduzione dell’altezza minima dei locali abitabili a 2,55 metri.
- ove nel locale esistano altezze inferiori, le stesse debbono essere chiuse e adibite alla funzione di armadio oppure ripostiglio.
La normativa nazionale viene però bypassata dalle leggi regionali che, a loro volta, hanno fissato due parametri, l’altezza minima e quella media ponderale. La seconda viene calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi quella minima per la superficie relativa. Un calcolo non proprio semplicissimo che va eseguito da un tecnico, soprattutto ove si tratti di solai con tetto pendente oppure in presenza di nicchie o sbalzi sul soffitto. Un altro aspetto che va poi tenuto in considerazione è il rapporto aeroilluminante, ovvero il numero di finestre che dovrebbero essere inserite in rapporto alla superficie, concorrendo insieme all’altezza all’abitabilità del sottotetto.
sabato 5 dicembre 2015
La riforma della tariffa elettrica
Tratto dal sito www.qualenergia.it
Con la delibera 582/2015/R/eel approvata, ieri, 2 dicembre, l'Autorità ha deciso la versione definitiva della riforma delle tariffe elettriche per i clienti domestici.
Si abolisce la progressività ossia il meccanismo in vigore ad oggi che fa pagare di più il kWh a chi consuma di più e di meno a chi ha consumi bassi. Inoltre i costi di rete (cioè i costi pagati per la trasmissione, distribuzione e misura dell'energia elettrica) verranno spostati tutti sulla parte fissa, cioè verranno pagati per punto di prelievo e per potenza impegnata, anziché per kWh consumato.
Tutto questo avverrà in maniera graduale, con due step di cambiamento, uno dal 1 gennaio 2016 e uno dal 2017, per arrivare a regime nel 2018.
Abbiamo parlato in altri articoli di cosa cambierà per la struttura della traiffa e per altri aspetti, come le variazioni della potenza, le tariffe per le pompe di calore e il bonus sociale, come anche di cosa questo comporterà per la convenienza del fotovoltaico in autoconsumo e di altre tecnologie per ridurre i prelievi di elettricità dalla rete.
Vediamo ora conti alla mano come cambieranno le bollette delle varie tipologie di consumatori dal prossimo primo gennaio 2016 al 2018. Come intuibile le modifichefaranno spendere di più chi consuma meno e meno chi ha prelievi più alti.
Ad esempio come si vede nelle schede sotto, un utente con consumi molto bassi, 900 kWh, a riforma completata pagherà ben 117 euro in più rispetto ad adesso su di una bolletta attuale di 260 euro/anno, mentre un utente con consumi alti, 6000 kWh, l'anno risparmierà quasi 600 euro su una bolletta da circa 1.500 euro. Variazioni che nella realtà – includendo anche accise ed iva, qui non considerate - saranno amplificate.
- Il residente con consumi bassi
Potenza impegnata: 3 kW
Consumi: 1.500 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 233 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 23 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 41 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 7,29 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 71 euro in più
Consumi: 1.500 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 233 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 23 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 41 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 7,29 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 71 euro in più
- Il residente con consumi medio-bassi
Potenza impegnata: 3 kW
Consumi: 2.200 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 343 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 17 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 22,5 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 10,7 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 50 euro in più
Consumi: 2.200 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 343 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 17 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 22,5 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 10,7 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 50 euro in più
- Il residente con consumi medi
Potenza impegnata: 3 kW
Consumi: 2.700 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 438 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 9,8 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 0,9 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 8,3 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 19 euro in più
Consumi: 2.700 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 438 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 9,8 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 0,9 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 8,3 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 19 euro in più
- Il residente con consumi medio-alti
Potenza impegnata: 3 kW
Consumi: 3.200 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 563 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà la stessa cifra
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 13 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 29 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 42 euro in meno
Consumi: 3.200 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 563 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà la stessa cifra
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 13 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 29 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 42 euro in meno
- Il non residente con consumi bassi
Potenza impegnata: 3 kW
Consumi: 900 KWh/anno
Residente: no
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 260 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 19,9 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 21,1 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 75,9 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 117 euro in più
Consumi: 900 KWh/anno
Residente: no
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 260 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 19,9 euro in più
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 21,1 euro in più
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 75,9 euro in più
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 117 euro in più
- Il residente con potenza maggiorata
Potenza impegnata: 3,5 kW
Consumi: 3.500 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 831 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 4,4 euro in meno
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 204,4 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 51,5 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 261 euro in meno
Consumi: 3.500 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 831 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 4,4 euro in meno
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 204,4 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 51,5 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 261 euro in meno
- Il non residente con consumi alti
Potenza impegnata: 3 kW
Consumi: 4000 KWh/anno
Residente: no
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 928 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 34,3 euro in meno
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 103,1 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 17,5 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 155 euro in meno
Consumi: 4000 KWh/anno
Residente: no
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 928 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 34,3 euro in meno
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 103,1 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 17,5 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 155 euro in meno
- Il residente con consumi molto alti e 6 kW di potenza
Potenza impegnata: 6 kW
Consumi: 6000 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 1.528 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 160,7 euro in meno
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 183 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 238,7 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 582 euro in meno
Consumi: 6000 KWh/anno
Residente: sì
Attualmente paga (accise e iva esclusi) 1.528 euro
Nel 2016 rispetto al 2015 spenderà 160,7 euro in meno
Nel 2017 rispetto al 2016 spenderà 183 euro in meno
Nel 2018 rispetto al 2017 spenderà 238,7 euro in meno
In tre anni, al 2018, la sua bolletta (accise e iva escluse) sarà di 582 euro in meno
Detrazioni fiscali per lavori condominiali
Per gli interventi effettuati sulle parti comuni dell’edificio, la detrazione spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputabile, a condizione che quest’ultima sia stata effettivamente versata al condominio entro i termini di presentazione della dichiarazione dei redditi. I documenti giustificativi delle spese relative alle parti comuni dovranno essere intestati al condominio. Il condomino potrà fruire della detrazione se in possesso della certificazione dell’amministratore del condominio in cui lo stesso attesta di aver adempiuto a tutti gli obblighi previsti ai fini della detrazione, di essere in possesso della documentazione originale e la somma di cui il contribuente può tenere conto ai fini della detrazione. È necessario, inoltre, che l’amministratore conservi tutta la documentazione originale, così come individuata dal provvedimento delle Entrate del 2 novembre 2011, per esibirla a richiesta degli uffici. In tali ipotesi, nella dichiarazione dei redditi i singoli condomini devono limitarsi a indicare il codice fiscale del condominio, senza riportare i dati catastali identificativi dell’immobile. Tali dati saranno indicati dall’amministratore nel quadro AC da allegare alla propria dichiarazione dei redditi ovvero, in caso di esenzione da tale obbligo o di utilizzo del modello 730, da presentare unitamente al frontespizio del modello Unico PF.
lunedì 30 novembre 2015
Le tegole fotovoltaiche
Tratto dal sito www.preventivi.it
L’ultima frontiera dell’energia solare è rappresentata dalle tegole fotovoltaiche, la giusta risposta all’esigenza di non impattare troppo su edifici di particolare pregio con pannelli che sono considerati antiestetici da molte persone. L’integrazione tra l’architettura e la necessità energetica degli edifici avviene non più sugli stessi, ma negli stessi, in quanto le tegole fotovoltaicheconsentono la produzione dell’energia pulita direttamente nei coppi che coprono il tetto. In questa ottica le tegole fotovoltaiche consentono la trasformazione del tetto da elemento passivo, adibito alla sola funzione di copertura, a vera e propria tecnologia attiva in grado di dare il suo efficace contributo all’ efficientamento energetico dell’edificio.
Il funzionamento di questa nuova tecnologia ha come base lo stesso concetto del pannello, in quanto prevede la progettazione di tegole nella cui parte centrale vengono immesse le celle fotovoltaiche da collegare fra loro in serie o in parallelo in modo da creare l’impianto di raccoglimento dell’energia solare da inviare all’inverter deputato a sua volta all’immissione della corrente alternata nella nostra abitazione o nell’ufficio. Le tegole fotovoltaiche possono essere installate su tetti con pendenze variabili da un minimo del 10% ad un massimo del 60%. Proprio la pendenza influisce molto sull’efficienza del fotovoltaico, poiché dall’inclinazione stessa dei raggi del sole dipende la resa della tegola.
Qual è l’efficienza delle tegole fotovoltaiche?
Qual'è la reale efficienza delle tegole fotovoltaiche? È molto difficile rispondere a questa domanda, in quanto le tegole fotovoltaiche rendono a seconda della tipologia di celle fotovoltaiche montate al loro interno ed ai materiali utilizzati. Generalmente le tegole con celle in silicio amorfo rendono meno ma sono in grado di assorbire la luce solare anche in presenza di nuvole o in condizioni di bassa luminosità, mentre le celle in silicio poli o monocristallino hanno bisogno di una quantità di luce solare maggiore per poter esibire un buon funzionamento. In linea di massima per avere 1 kw di potenza necessitano almeno tra 200 e 250 tegole di grandezza simile a quelle classiche un dato che è comunque da considerare approssimativo.
I vantaggi delle tegole fotovoltaiche
Le tegole fotovoltaiche presentano alcuni sostanziali vantaggi, a partire dalla completa integrazione nella struttura architettonica dell’edificio, tanto da costituire, in genere, dei veri e propri impianti innovativi, sino a rientrare tra i cosiddetti moduli speciali indicati nella guida del Gse , in qualità di applicazioni innovative, finalizzate all’integrazione architettonica del fotovoltaico. Una dote che consente di applicarle anche in situazioni molto delicate come quelle che distinguono edifici di particolare pregio storico, paesaggistico o architettonico, ove cioè diventa impossibile adottare i normali moduli fotovoltaici, i quali andrebbero ad impattare in maniera troppo evidente sul complesso. Inoltre sono molto facili e veloci da installare, soprattutto nel caso si opti per le soluzioni pre-assemblate che sono disponibili in commercio, e che sono in grado di riprodurre le identiche armonizzazioni delle tradizionali tegole in cotto.
Tegole solari fotovoltaiche: le tipologie
Le tegole fotovoltaiche possono essere divise in due principali tipologie:
- a film sottile, che hanno una lastra flessibile (thin film) fotovoltaica la quale viene incassata all’interno, andando a seguire il profilo curvo della tegola. Rappresentano il top in fatto di integrazione, poiché assomigliano talmente al coppo normale da renderne difficile la distinzione. Alla massima integrazione architettonica, ideale per i centri storici e per il mantenimento del decoro di un edificio, contrappongono però lo svantaggio derivante dalla grande quantità di spazio richiesto, visto che il film, essendo disteso per seguire la curva del coppo, non garantisce il massimo irraggiamento solare. In pratica esige almeno il doppio di superficie rispetto ai moduli fotovoltaici in silicio cristallino, tanto che per poter avere un kwp di potenza occorre installare tra i 15 ed i 18 metri quadrati di tegole fotovoltaiche.
-a silicio mono o policristallino, con la possibilità di scegliere tra un elevatissimo numero di soluzioni proposte dai produttori, come quelle tese a integrare i pannelli fotovoltaici dentro la tegola oppure accanto, disponendoli in tanti moduli di diversa grandezza. Rispetto alle tegole fotovoltaiche in film sottile , esigono meno spazio, potendo bastare 7 o 8 metri quadrati per kwp.
Tegole fotovoltaiche: l’ideale per edifici storici
Come abbiamo ricordato, l’utilizzo delle tegole fotovoltaiche si rivela estremamente utile nel caso di edifici storici, per i quali può rivelarsi molto complicato o impossibile montare impianti tradizionali. In questo caso le tegole fotovoltaiche possono consentire di aggirare i divieti di carattere paesaggistico e architettonico. In particolare possono essere utili allo scopo quelle trasparenti, che sono in grado di integrarsi alla perfezione con le tegole preesistenti, facendo in modo da avere un impatto realmente minimo sul tetto. Nei paesaggi di pregio questo modo di inserire il fotovoltaico nel territorio ha il vantaggio di essere quasi invisibile, poco impattante, sino a rivelarsi a volte, anche un gradevole elemento estetico.
Fotovoltaico: quanto costano le tegole
Per quanto riguarda i costi, è abbastanza complicato seguire la loro continua variazione determinata dai rapidi mutamenti delle tecnologie utilizzate in questo settore, che vanno a riflettersi in maniera profonda sui listini. La sicurezza, al momento attuale, riguarda il fatto che il prezzo è sicuramente maggiore del classico impianto fotovoltaico montato sul tetto, sia per quanto riguarda l’acquisto dei materiali necessari per l’impianto, che per la manodopera e l’installazione, anche in considerazione del fatto che il lavoro risulta molto più invasivo. In via di massima, comunque, per un impianto con tegole fotovoltaiche da 3 kwp i prezzi possono oscillare tra i 18 mila ed i 25mila euro. Un prezzo che dipende, in larga parte, da fattori come la tecnologia usata, il produttore e anche la zona di produzione.
Per cercare di capire meglio quale possa essere la resa e, soprattutto, quale possa essere il prodotto più adatto alle proprie esigenze, la cosa migliore da fare è consultare le aziende specializzate nella vendita e nell’installazione di questo particolare dispositivo, professionisti in grado di rispondere in maniera chiara ed esaustiva ad ogni domanda o curiosità.
venerdì 27 novembre 2015
La domotica è il valore della casa
Tratto dal sito www.biblus.acca.it
Grazie alla domotica si possono monitorare e ottimizzare i consumi di elettricità, acqua e gas, controllare i carichi energetici ed impostare i limiti di consumo al fine di eliminare gli sprechi e migliorare l’efficienza energetica, fino ad ottenere un risparmio pari al 40/50% rispetto agli impianti tradizionali.
Avere una casa domotizzata quindi garantisce un ritorno economico immediato in termini di risparmio energetico. Ma non è tutto: la domotica comporta un aumento del valore di mercato della casa grazie a una serie di fattori, come ad esempio il miglioramento della classe energetica dell’edificio, dei requisiti di comfort, benessere e sicurezza.
L’agenzia Immobiliare.it ha svolto infatti un’indagine da cui si evince che il 52% delle abitazioni italiane aumenteranno la loro quotazione di mercato in base ai contenuti tecnologicamente evoluti che tenderanno ad incrementare l’efficienza energetica.
Lo studio mostra, quindi, come stanno mutando le caratteristiche richieste per l’immobile dei propri sogni: vengono richieste sempre più case tecnologiche. La domotica e l’efficienza più avanzata e innovativa sono le caratteristiche sempre più cercate da chi vuole comprare o affittare.
Un’altra interessante indagine è stata svolta dall’Osservatorio Cresme, secondo cui la ripresa dell’edilizia passa proprio dalla tecnologia.
Lo studio evidenzia, infatti, come in un momento di crisi per il settore dell’edilizia, l’impiantistica elettrica, elettronica e meccanica, cuore della domotica moderna, continua a registrare un trend crescente.
in particolare, la spesa per la realizzazione degli impianti (elettrici elettronici e meccanici) mostra un trend nettamente crescente rispetto al passato: infatti, dal 2008 al 2014 il costo degli impianti rispetto al costo totale è aumentato dal 9,8% al 14,4%.
In particolare:
- il settore dell’illuminazione a Led, cresce del 577%
- il settore legato alla domotica cresce del 34%
- i sistemi antintrusione aumentano del 4%
- sistemi tecnologici di prevenzione incendi aumentano del 2,2%
- il settore del riscaldamento-raffreddamento (pompe di calore in gruppi refrigeratori, compressione condizionatori d’aria e di acqua) registra + 20%
- gli impianti fotovoltaici aumentano del 55%
Il nuovo modello unico per i piccoli impianti fotovoltaici
Tratto dal sito www.biblus.acca.it
A seguito della pubblicazione del decreto 19 maggio 2015, trascorsi già 180 giorni, (V. art. “Fotovoltaico, arriva il modello unico per la realizzazione, la connessione e l’esercizio di piccoli impianti“), è possibile utilizzare dal 24 novembre 2015 il nuovo modello unico piccoli impianti fotovoltaici, al fine di velocizzare e snellire le procedure per l’installazione.
Nuovo modello unico piccoli impianti fotovoltaici, per quali impianti si usa
Il nuovo modello unico verrà utilizzato esclusivamente per la realizzazione, la connessione e la messa in esercizio degli impianti aventi le seguenti caratteristiche:
- essere realizzati presso clienti finali già dotati di punti di prelievoattivi in bassa tensione
- avere potenza nominale non superiore a 20 kW
- avere potenza non superiore a quella già disponibile in prelievo
- essere tra quelli per i quali sia contestualmente richiesto l’accesso al regime di scambio sul posto
- essere realizzati sui tetti degli edifici con le modalità previste dall’articolo 7-bis comma 5 del d.lgs 28/2011
- non essere in presenza di ulteriori impianti di produzione sullo stesso punto di prelievo
- essere aderenti o integrati, ossia l’installazione non è subordinata all’acquisizione di atti amministrativi di assenso, inclusa l’autorizzazione paesaggistica
Nuovo modello unico piccoli impianti fotovoltaici: come si compila
Il modello unico è costituito da 2 parti.
Nella prima parte del modello, da compilare prima dell’inizio dei lavori, vanno riportati i seguenti elementi:
• dati anagrafici del richiedente e titolarità del diritto
• data di inizio dei lavori, caratteristiche tecniche dell’impianto e dati catastali dell’immobile interessato
• dati per procedere all’addebito dei costi di connessione (IBAN, carta di credito, addebito in bolletta)
• data di inizio dei lavori, caratteristiche tecniche dell’impianto e dati catastali dell’immobile interessato
• dati per procedere all’addebito dei costi di connessione (IBAN, carta di credito, addebito in bolletta)
Al modello vanno poi allegati:
• schema elettrico unifilare dell’impianto
• scansione di un documento d’identità
• eventuale delega alla presentazione della domanda
• schema elettrico unifilare dell’impianto
• scansione di un documento d’identità
• eventuale delega alla presentazione della domanda
Nella seconda parte del modello, da compilare ad intervento concluso, vanno indicati:
- la data di ultimazione dei lavori
- la dichiarazione di corretta esecuzione dei lavori
- la conformità dell’impianto
- la conoscenza del contratto e del regolamento di esercizio
Condomino contrario all’installazione di un impianto di videosorveglianza, può non contribuire alla spesa?
Tratto dal sito www.casaeclima.com
Nel caso in cui in sede di assemblea condominiale venga
deliberata l’installazione di un impianto di videosorveglianza il condomino,
eventualmente contrario, può evitare di pagare la quota di spese che gli
spetterebbe in base alla tabella millesimale?
No. La videosorveglianza, infatti, è uno di quegli impianti
la cui installazione è stata liberalizzata con l’entrata in vigore della
riforma del condominio (Legge, 11 dicembre 2012 n. 220, pubblicata in Gazzetta
Ufficiale 17 dicembre 2012). In particolare la legge citata ha introdotto nel
Codice civile un articolo ad hoc dedicato a queste installazioni, ovvero
l’articolo 1122-bis che, essendo collocato quale appendice dell’articolo 1122,
si delinea quale sua disposizione speciale che disciplina opere del tutto
particolari con un proprio iter procedurale.
L’Articolo in parola prevede che la delibera di
installazione possa essere approvata con la maggioranza semplice, ossia con
l’assenso della maggioranza dei presenti che devono rappresentare almeno 500
millesimi.
Non si tratta più, quindi, di una innovazione e di
conseguenza il condomino dissenziente non può evitare di partecipare alla
spesa.
Il degrado del calcestruzzo: cause e rimedi
Le cause del degrado del
calcestruzzo
Il
calcestruzzo è un materiale utilizzato dai millenni, sin dal tempo dei romani,
quando parecchie opere erano realizzate utilizzando il calcestruzzo, contenente
spesso pietra pomice come materiale inerte; anche la cupola del Pantheon è
realizzata con questo materiale.
Contrariamente
però a quanto si riteneva in passato, il calcestruzzo non è un materiale che
dura in eterno, ma è soggetto a degrado, tanto più veloce quanto più la qualità
del calcestruzzo è bassa o l’ambiente è aggressivo.
Un
calcestruzzo armato del tipo faccia a vista è composto da calcestruzzo con
all’interno acciaio sagomato i quali, combinando le proprietà di entrambi i
materiali, vanno a formare una struttura solida perfetta per le costruzioni
edili.
L’acciaio
viene sagomato a forma di “gabbia”, e viene annegato nel calcestruzzo andando a
formare svariate forme geometriche, dove comunque l’acciaio stesso rimane
sempre all’interno del calcestruzzo, dal quale viene sempre ricoperto per
proteggerlo dai fenomeni di ossidazione.
Questo
spessore, chiamato nel linguaggio tecnico “copriferro”, può avere dimensioni
variabili a seconda dell’epoca di realizzazione, del luogo e delle funzioni che
deve svolgere.
Il
calcestruzzo, appena realizzato, è altamente alcalino, e questa caratteristica
permette allo stesso di proteggere in maniera adeguata il ferro di armatura;
questa alcalinità, però, si perde con il passare degli anni, a causa di alcuni
fattori che sono:
• Azione
erosiva dell'acqua di pioggia che ha una alta acidità,
• Azione
erosiva provocata dalla anidride carbonica,
• Azione
erosiva del vento,
• Cicli
di gelo disgelo.
Questi
fattori combinati fra loro aumentano l’acidità e la porosità del calcestruzzo,
creando delle vie di accesso dove l'acqua può penetrare all'interno della
struttura, intaccando il copriferro.
Inoltre
si sviluppano processi chimici che favoriscono il formarsi della
carbonatazione, una reazione lenta e non regolare che negli anni arriva ad
intaccare le strutture ferrose, provocando ossidazione e quindi la formazione
di ruggine.
Questa
ossidazione provoca un aumento del volume del ferro, creando crepe e spaccature,
che con il tempo e i cicli di gelo disgelo possono provocare il distacco di
elementi di calcestruzzo.
Questi
processi hanno una durata variabile, e solitamente necessitano di molti anni
prima di verificarsi, a seconda dello spessore del copriferro, della porosità
del calcestruzzo, della esposizione delle pareti.
Una
struttura di calcestruzzo non ha quindi una durata eterna, ma è soggetta, come
tutte le strutture edilizie, ad interventi periodici di manutenzione, per
garantire le condizioni iniziali di stabilità, staticità, durata e sicurezza.
Un
qualsiasi immobile necessita di interventi di manutenzione, per garantire le
condizioni di cui sopra e, soprattutto in immobili condominiali, per
salvaguardare i proprietari da eventuali cause per responsabilità civile a
seguito di danni provocati da carenza di manutenzione dell’immobile.
Conseguenze del
deperimento del calcestruzzo
Il
deperimento del calcestruzzo, con conseguente ossidazione dell’acciaio di
armatura, può provocare, a lungo termine, la riduzione della resistenza statica
della struttura, soprattutto in caso di eventi sismici di un certo rilievo.
Nel
breve termine la conseguenza più rilevante, oltre a quella estetica, è il
distacco di pezzi di calcestruzzo, che possono cadere al suolo, con il rischio
di colpire persone o cose, con conseguente configurarsi di responsabilità
civile ai sensi degli artt. 2051 e 2053 CC e responsabilità penale ai sensi
dell’Art. 40 del C.P.
I rimedi
Il
miglior rimedio, prima che il ferro d’armatura sia troppo deteriorato (che
richiede importanti interventi di ripristino statico), è quello di procedere
con un intervento di ripristino che si compone di varie fasi, ognuna con un
compito diverso, che restituiscono il copriferro deteriorato ed una superficie
pronta a resistere per tanti anni ancora.
Le
fasi del processo di ripristino sono:
1.
Pulizia: consiste nel rimuovere tutto il
calcestruzzo deteriorato fino ad arrivare a quello sano, mediante
scalpellatura, e pulire l’acciaio dalla ruggine, mediante spazzolatura con
spazzole di acciaio o sabbiatura;
2.
Protezione dei ferri: si effettua mediante
idonei prodotti convertitori di ruggine, che vengono applicati a pennello, i
quali avranno anche il compito di proteggere il ferro da futuri attacchi di
ossidazione;
3.
Ripristino: consiste nel ripristinare lo
strato di copriferro mediante applicazione di idonee malte tissotropiche o
fibrorinforzate, idonee per l’applicazione in piccoli spessori;
4.
Regolarizzazione: consiste nella
regolarizzazione dello strato superficiale, sempre con idonee malte protettive,
che hanno appunto il compito di proteggere il calcestruzzo e offrire un effetto
estetico apprezzabile;
5.
Verniciatura: è infine consigliabile la
verniciatura finale con prodotti protettivi, che possano coprire anche le zone
di calcestruzzo su cui non si è intervenuti.
È importante
chiarire che queste lavorazioni sono impegnative e vanno eseguite da manodopera
qualificata, con la consulenza di un professionista che possa consigliare le
migliori metodologie e prodotti con cui intervenire.
Gianluca
Roscini
lunedì 23 novembre 2015
Il nuovo Bonus Mobili.
Come riportato ne "Il Sole 24 Ore" di oggi lunedi 23 novembre, dal 2016 il Bonus mobili raddoppia.
Ora ne potrà usufruire non solo chi ristruttura casa, ma anche le giovani coppie che acquistano casa.
Ecco come funziona:
Ristrutturazione
Chi ristruttura casa e acquista nuovi mobili può beneficiare della detrazione del 50% da dividere in 10 anni per una spesa massima di € 10.000,00;
Per usufruirne occorre eseguire lavori di manutenzione straordinaria e iniziare il cantiere prima dell'acquisto dei nuovi mobili.
Acquisto della casa
Chi acquista casa e acquista nuovi mobili può beneficiare della detrazione del 50% da dividere in 10 anni per una spesa massima di € 16.000,00;
Per usufruirne occorre essere una coppia sposata o una coppia more uxorio che abbia costituito nucleo familiare da almeno 3 anni, in cui almeno uno dei due componenti abbia meno di 35 anni.
Si può accedere al beneficio se si acquista una casa da adibire ad abitazione principale.
venerdì 20 novembre 2015
Il recupero dell'acqua piovana
TRATTO DAL SITO www.biblus.acca.it
L’acqua è una risorsa preziosa e in quanto tale va gestita in maniera sostenibile (V. art. “Gestione sostenibile dell’acqua: opportunità, vantaggi e modalità operative“).
In questo nuovo articolo trattiamo le tecniche e i sistemi per il recupero dell’acqua piovana.
Recupero acqua piovana, come funziona
Le acque meteoriche rappresentano una fonte rinnovabile e locale e richiedono trattamenti semplici ed economici per un loro utilizzo, ristretto a certe applicazioni.
In generale, gli impieghi che si prestano al riutilizzo delle acque meteoriche riguardano usi esterni, come:
- l’irrigazione di aree a verde, prati, giardini, orti
- il lavaggio di aree pavimentate (strade, piazzali, parcheggi)
- il lavaggio di autovetture
- usi tecnologici (ad esempio acque di raffreddamento)
- alimentazione di vasche antincendio
e usi interni agli organismi edilizi, come:
- l’alimentazione delle cassette di risciacquo dei WC
- l’alimentazione di lavatrici
- usi tecnologici relativi, come ad esempio sistemi di climatizzazione passiva/attiva
Da un punto di vista impiantistico un intervento di recupero di acque meteoriche è costituito da una rete di raccolta, adduzione e successiva distribuzione delle acque recuperate, da un sistema di trattamento adeguato delle acque raccolte, da un serbatoio di accumulo e infine da un sistema di pompaggio per il riuso.
Forse l’aspetto più critico della progettazione di un sistema di raccolta della pioggia è la stima delle quantità di acque ottenibili in funzione delle superfici di raccolta a disposizione e del volume necessario ad immagazzinarle, che dipende dalla distribuzione media delle piogge e dalle variazioni di uso nei diversi periodi.
Le acque meteoriche richiedono un trattamento adeguato che dipende prevalentemente dalla destinazione d’uso del loro riutilizzo, in funzione del quale vengono definiti gli obiettivi depurativi, ma anche dalla durata del periodo di tempo secco antecedente all’evento piovoso: è proprio durante tale periodo, infatti, che si verifica il deposito di materiali solidi e di inquinanti sulle superfici impermeabilizzate che vengono dilavate dalle acque meteoriche.
In genere i sistemi di rainwater harvesting tendono a raccogliere le acque che non rischiano di essere contaminate: si limitano quindi ad usare come superfici di raccolta i tetti o i terrazzi delle case.
Nei casi più comuni per il trattamento delle acque meteoriche dei tetti è sufficiente un’efficace azione di filtrazione: al filtro viene principalmente richiesto di trattenere il materiale che, sedimentando nel serbatoio, porterebbe ad un deterioramento della qualità dell’acqua e al rischio di intasamento delle condotte e del sistema di pompaggio.
Recupero acqua piovana, elementi costitutivi
Un impianto per il riutilizzo dell’acqua meteorica proveniente dai tetti è costituito essenzialmente dai seguenti elementi:
- sistema di raccolta: composto da superficie di raccolta, converse, canali di gronda, bocchettoni, pluviali, pozzetti di drenaggio, caditoie, tubazioni di raccordo
- filtro
- serbatoio di accumulo con scarico di troppo pieno
- pompa
- sistema di distribuzione (dotato di sistema di reintegro con acqua potabile)
Il volume di acqua necessario dipende quindi dalla tipologia di utilizzo e dagli impieghi delle acque recuperate (irrigazione, cassette di risciacquo dei WC, elettrodomestici, etc.).
Sistemi di filtrazione
Si tratta di sistemi di filtrazione compatti per il trattamento delle acque meteoriche dei tetti da installare interrati prima del serbatoio di accumulo o direttamente sui pluviali.
Il sistema di filtrazione costituisce uno dei componenti principali dei sistemi di recupero e riutilizzo delle acque meteoriche in quanto serve ad evitare l’immissione nel serbatoio di detriti e altri materiali in sospensione.
Esistono in commercio numerosi dispositivi, da installare direttamente a monte dell’accumulo (sui pluviali, fuori terra, interrati, integrati al serbatoio), grazie ai quali è possibile intercettare i materiali solidi depositatisi sulle superfici di raccolta durante il periodo secco. Dispositivi di questo genere vanno dalle semplici griglie per il trattenimento del fogliame da installare sulle calate a sistemi di filtrazione autopulenti posti in pozzetti interrati, in grado di intercettare la maggior parte dei solidi contenuti nelle acque di pioggia.
L’efficienza di recupero di questi dispositivi è generalmente intorno al 70-80%, poiché parte delle acque di pioggia viene separata, utilizzata per l’autopulizia dei filtri e smaltita in fognatura.
Filtro nel pluviale
E’ costituito in genere da una griglia metallica (con fori di diametro inferiore anche ai 2 decimi di millimetro) sagomata a tronco di cono, rastremata verso il basso e capace di trattenere residui di vario genere (muschi, licheni, foglie, sabbie, polveri, ecc.).
La porzione d’acqua che penetra attraverso il filtro viene deviata esternamente al pluviale e inviata allo stoccaggio (di solito costituito da serbatoi fuori terra collocati al piede degli stessi pluviali), mentre i residui intercettati e dilavati dalla rimanente acqua vengono convogliati verso il sistema di smaltimento.
Filtro centrifugo
Dispositivo generalmente interrato composto da una camera filtrante accessibile mediante un’apertura superiore dotata di coperchio.
Viene sfruttato il principio della velocità d’ingresso dell’acqua immessa tangenzialmente. Gli eventuali corpi sospesi vengono intercettati da una griglia con maglie di 0,2 mm di apertura.
Filtro autopulente
L’azione di filtraggio è esercitata da una maglia a rete che permette il passaggio dell’acqua pulita nella sezione sottostante.
In occasione di eventi meteorici intensi tutte le acque non riescono a filtrare attraverso la maglia, per cui le acque di seconda pioggia vengono smaltite da una seconda tubazione in linea con quella di entrata, dilavando al tempo stesso la maglia filtrante.
Questi filtri richiedono in realtà una pulitura della maglia frequente dopo gli eventi meteorici meno intensi, in quanto la rete tende ad ostruirsi diminuendo i volumi recuperati. Sono però disponibili anche unità con contro lavaggio che permettono la pulitura automatica della cartuccia filtrante.
In occasione di eventi meteorici intensi tutte le acque non riescono a filtrare attraverso la maglia, per cui le acque di seconda pioggia vengono smaltite da una seconda tubazione in linea con quella di entrata, dilavando al tempo stesso la maglia filtrante.
Questi filtri richiedono in realtà una pulitura della maglia frequente dopo gli eventi meteorici meno intensi, in quanto la rete tende ad ostruirsi diminuendo i volumi recuperati. Sono però disponibili anche unità con contro lavaggio che permettono la pulitura automatica della cartuccia filtrante.
Vantaggi e benefici
- permettono il recupero delle acque meteoriche dei tetti esercitando un’efficace azione di filtraggio
- generalmente non richiedono acqua o prodotti chimici per la pulizia
- ingombro ridotto (interrati o direttamente sul pluviale)
Svantaggi e limitazioni
- efficace solo nella rimozione dei solidi sospesi
- applicabile solo in zone residenziali
Gestione e manutenzione
- pulizia periodica per i modelli non autopulenti
- ispezione annuale dell’intero sistema di recupero
Benefici ambientali
- possibilità di recupero delle acque meteoriche dei tetti con conseguente riduzione dei consumi di acqua potabile
I Sistemi di filtrazione vegetati
Nel caso in cui è necessario un trattamento più spinto delle acque meteoriche dei tetti (ad esempio in zone densamente urbanizzate con elevato inquinamento atmosferico), si può far ricorso a tecniche naturali come i sistemi di filtrazione vegetati.
Questa soluzione consente il recupero di tutte le acque meteoriche dei tetti (non sono cioè previsti scarichi in fognatura pubblica) ed assicura un livello di trattamento molto elevato. In tali sistemi infatti si prevede la percolazione delle acque meteoriche all’interno di un mezzo filtrante (sabbia e ghiaia), piantumato con appropriate essenze vegetali. I meccanismi depurativi che avvengono al suo interno sono sia di tipo meccanico (filtrazione) che biologici (del tutto simili a quelli che avvengono in un sistema di fitodepurazione e meglio descritti in seguito).
I sistemi di filtrazione vegetati sono trattamenti di tipo estensivo mutuati dai sistemi a flusso sommerso verticale. Le acque meteoriche percolano (a gravità o con sistema di pompaggio a seconda della morfologia del sito) all’interno di vasche riempite con inerti di varia granulometria (sabbia e ghiaia) e piantumate sia con macrofite acquatiche aventi anche una certa valenza ornamentale quali Eupatorium cannabium, Iris Pseudacorus, Lythrum Salicaria, che con altre specie non acquatiche e più puramente estetiche.
Il sistema viene dimensionato per assicurare la percolazione del volume di prima pioggia; può essere realizzata sia un’unica vasca che più vasche di dimensioni più piccole, sia interrate che fuori terra.
La forma, le modalità realizzative, i materiali impiegati per il supporto e le essenze vegetali da inserire possono essere scelti di volta in volta, di modo che il sistema nella sua configurazione finale, oltre a svolgere la sua funzione impiantistica, possa essere considerato come elemento di arredo.
Il sistema viene dimensionato per assicurare la percolazione del volume di prima pioggia; può essere realizzata sia un’unica vasca che più vasche di dimensioni più piccole, sia interrate che fuori terra.
La forma, le modalità realizzative, i materiali impiegati per il supporto e le essenze vegetali da inserire possono essere scelti di volta in volta, di modo che il sistema nella sua configurazione finale, oltre a svolgere la sua funzione impiantistica, possa essere considerato come elemento di arredo.
Vantaggi e benefici
- elevata efficienza depurativa
- ottimo inserimento ambientale
- contenuti costi di investimento e scarsa manutenzione
- consumi energetici nulli
- possibilità di riutilizzo degli effluenti trattati
Svantaggi e limitazioni
- richiedono un certo ingombro superficiale
Gestione e manutenzione
- svuotamento periodico dei trattamenti primari con autospurgo-autobotte
- taglio annuale delle essenze vegetali
Benefici ambientali
- ottimo inserimento ambientale, elevate rese depurative anche al variare delle condizioni di carico (a differenza dei fanghi attivi tradizionali)
La separazione, il trattamento e il riuso delle acque grigie
Gli scarichi provenienti da un’abitazione domestica si dividono, convenzionalmente, in acque grigie e acque nere.
Le acque grigie sono circa il 70% dei consumi domestici e hanno caratteristiche chimiche che ne permettono un trattamento più facile: quindi raccogliendole separatamente e trattandole si producono quantità importanti di acqua riutilizzabile per quasi tutti gli usi non potabili.
Alle acque nere, spesso, conviene unire anche gli scarichi provenienti dal lavabo della cucina che, pur non essendo particolarmente contaminati, contengono una grande quantità di solidi (residui di cibo e dei lavaggi, polvere di caffè, ecc.).
In questo modo la ripartizione tra acque grigie e nere si attesta su un rapporto di 60 a 40 %.
Una importante differenza tra acque grigie e acque nere consiste nella diversa velocità di degradazione degli inquinanti.
Si potrebbe pensare che le acque grigie, che contengono saponi e altri residui di prodotti per l’igiene domestica, siano meno biodegradabili.
In realtà avviene l’esatto contrario: le acque grigie si depurano più rapidamente e facilmente delle acque nere. Quindi, nelle nostre case produciamo circa il 60% di acque di scarico grigie, inquinate da sostanze facilmente biodegradabili, poco contaminate da batteri e virus patogeni, la cui gestione non comporta particolari rischi sanitari. Il restante 40% invece sono acque nere, il cui trattamento è più complesso, sia dal punto di vista biochimico che microbiologico.
In molti paesi la pratica del riutilizzo delle acque grigie si sta ormai diffondendo rapidamente, ricorrendo a soluzioni tecnologiche molto diverse.
In molti paesi la pratica del riutilizzo delle acque grigie si sta ormai diffondendo rapidamente, ricorrendo a soluzioni tecnologiche molto diverse.
Lo schema tipico di un sistema di separazione e riuso delle acque grigie è quello riportato in figura.
Le acque provenienti da docce e lavabi sono raccolte, trattate e inviate, tramite una pompa, ai punti di riutilizzo: in genere lo scarico dei WC, la lavatrice e alcuni rubinetti di acqua non potabile da destinare al lavaggio pavimenti, spazi esterni, irrigazione, ecc.
La pratica della depurazione locale e riuso delle acque grigie si sta diffondendo abbastanza rapidamente nei paesi in cui è maggiore il costo dell’acqua. Per questo, alcune case produttrici hanno messo in commercio sistemi di depurazione estremamente compatti e automatizzati, installabili facilmente anche in una cantina.
Tra le soluzioni più interessanti vi sono certamente gli impianti che prevedono il trattamento mediante sistemi di fitodepurazione, integrati nell’arredo a verde degli edifici.
La pratica della depurazione locale e riuso delle acque grigie si sta diffondendo abbastanza rapidamente nei paesi in cui è maggiore il costo dell’acqua. Per questo, alcune case produttrici hanno messo in commercio sistemi di depurazione estremamente compatti e automatizzati, installabili facilmente anche in una cantina.
Tra le soluzioni più interessanti vi sono certamente gli impianti che prevedono il trattamento mediante sistemi di fitodepurazione, integrati nell’arredo a verde degli edifici.
Tecnologie per il riuso delle acque grigie
Un impianto di trattamento delle acque grigie dovrà garantire un’efficiente rimozione del carico organico e della carica batterica e dovrà essere caratterizzato da semplicità ed economicità di gestione e manutenzione.
Gli elementi base di un sistema di trattamento sono:
- degrassatore (per le cucine)
- trattamento primario
- trattamento secondario
- disinfezione
Le soluzioni più interessanti ed ecosostenibili per il trattamento delle grigie sono rappresentate da sistemi naturali di fitodepurazione a flusso sommerso (SFS-h o SFS-v) (Scheumann et al, 2009).
Tali sistemi oltre a garantire un’elevata efficienza di trattamento si inseriscono gradevolmente nelle pertinenze degli edifici andando a costituire parte integrante dell’arredo a verde.
Nel caso in cui non siano disponibili gli spazi necessari a tecniche estensive, si può ricorrere a sistemi compatti come SBR (Sequencing Batch Reactor) o MBR (Membrane Reactor); generalmente si tratta di sistemi interrabili, ma esistono in commercio alcune soluzioni impiantistiche adatte anche all’installazione all’interno degli edifici (ad esempio nei garage o negli scantinati), permettendo oltretutto di risparmiare per quanto riguarda le tubazioni esterne.
Tali sistemi oltre a garantire un’elevata efficienza di trattamento si inseriscono gradevolmente nelle pertinenze degli edifici andando a costituire parte integrante dell’arredo a verde.
Nel caso in cui non siano disponibili gli spazi necessari a tecniche estensive, si può ricorrere a sistemi compatti come SBR (Sequencing Batch Reactor) o MBR (Membrane Reactor); generalmente si tratta di sistemi interrabili, ma esistono in commercio alcune soluzioni impiantistiche adatte anche all’installazione all’interno degli edifici (ad esempio nei garage o negli scantinati), permettendo oltretutto di risparmiare per quanto riguarda le tubazioni esterne.
Tecniche di fitodepurazione
Le tecniche di fitodepurazione rappresentano una tipologia impiantistica che si adatta perfettamente al trattamento delle acque grigie: in particolare, a parità di carico idraulico trattato, la loro efficienza è maggiore nell’abbattimento del carico organico presente nelle acque grigie, rispetto al caso in cui abbiamo anche le nere.
Essendo sistemi a “biomassa adesa” risentono in maniera molto minore rispetto ai tradizionali impianti a fanghi attivi delle variazioni di concentrazioni di inquinanti nel refluo. Inoltre hanno dimostrato un’elevata efficacia nell’abbattimento della carica batterica, comunque presente in quantitativi molto limitati all’interno delle acque grigie.
Tra le varie tipologie di sistemi di fitodepurazione, quelle a flusso sommerso presentano spiccati vantaggi rispetto a quelli a flusso superficiale: il flusso sub-superficiale limita infatti fortemente il rischio di odori, lo sviluppo di insetti, e può consentire l’utilizzo della zona adibita all’impianto da parte del pubblico, permettendo così anche l’inserimento in sistemazioni a verde di complessi edilizi.
I sistemi SFS-h (flusso sommerso orizzontale) sono costituiti da vasche contenenti materiale inerte con granulometria prescelta al fine di assicurare una adeguata conducibilità idraulica (i mezzi di riempimento comunemente usati sono sabbia, ghiaia, pietrisco); tali materiali inerti costituiscono il supporto su cui si sviluppano le radici delle piante emergenti (sono comunemente utilizzate le cannuccie di palude o Phragmites australis ma possono essere utilizzate anche altre specie acquatiche come Juncus Effusus e Typha latifolia, altre in combinazione con esse per migliorarne l’inserimento, come ad esempio il giaggiolo acquatico o Iris Pseudacorus); il fondo delle vasche deve essere opportunamente impermeabilizzato facendo uso di uno strato di argilla, possibilmente reperibile in loco, in idonee condizioni idrogeologiche o come più comunemente accade, di membrane sintetiche (HDPE o LDPE 2 mm di spessore).
Il flusso idraulico dei liquami rimane costantemente al di sotto della superficie e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto.
La forma di una vasca a flusso sommerso orizzontale deve essere preferibilmente rettangolare; la pendenza del fondo del letto può variare dall’1 al 5%, compatibilmente con i calcoli di verifica sulla geometria della vasca.
Il sistema di distribuzione del refluo in ingresso è generalmente costituito da una tubazione con elementi di distribuzione a T, collocata al di sotto della superficie del riempimento.
I sistemi di uscita sono spesso realizzati con una tubazione drenante posta sul fondo, al piede della scarpata della vasca, per tutta la sua larghezza, e collegata con una tubazione ad un pozzetto, in cui è alloggiato un dispositivo che garantisce la regolazione del livello idrico all’interno del sistema; ciò permette di regolare il livello di refluo nella vasca secondo le esigenze funzionali del sistema stesso.
Il sistema di distribuzione del refluo in ingresso è generalmente costituito da una tubazione con elementi di distribuzione a T, collocata al di sotto della superficie del riempimento.
I sistemi di uscita sono spesso realizzati con una tubazione drenante posta sul fondo, al piede della scarpata della vasca, per tutta la sua larghezza, e collegata con una tubazione ad un pozzetto, in cui è alloggiato un dispositivo che garantisce la regolazione del livello idrico all’interno del sistema; ciò permette di regolare il livello di refluo nella vasca secondo le esigenze funzionali del sistema stesso.
Anche sistemi VF sono costituiti da vasche impermeabilizzate contenenti materiale inerte con granulometria prescelta.
Il refluo da trattare scorre verticalmente nel medium di riempimento (percolazione) e viene immesso nelle vasche con carico alternato discontinuo. Questa metodologia con flusso intermittente (reattori batch) implica l’impiego di un numero minimo di due vasche in parallelo per ogni linea che funzionano a flusso alternato, in modo da poter regolare i tempi di ri-ossigenazione del letto variando frequenza e quantità del carico idraulico in ingresso, mediante l’adozione di dispositivi a sifone autoadescante opportunamente dimensionati o di sistemi di pompaggio adeguati.
Il medium di riempimento è costituito da alcuni strati di ghiaie e sabbie di dimensioni variabili, partendo da uno strato di sabbia alla superficie per arrivare allo strato di pietrame posto sopra al sistema di drenaggio sul fondo.
Questi sistemi hanno la prerogativa di consentire una notevole diffusione dell’ossigeno anche negli strati più profondi delle vasche (durante lo svuotamento periodico delle vasche), giacché la diffusione di questo elemento è circa 10.000 volte più veloce nell’aria che nell’acqua, e di alternare periodi di condizioni ossidanti a periodi di condizioni riducenti.
I tempi di ritenzione idraulici nei sistemi a flusso verticale sono abbastanza brevi; la sabbia superficiale diminuisce la velocità del flusso il che favorisce sia la denitrificazione sia l’assorbimento del fosforo da parte della massa filtrante.
Un ulteriore aspetto positivo dei sistemi VF consiste nella maggiore protezione termica dei liquami nella stagione invernale.
Il sistema di alimentazione delle vasche deve garantire una uniforme distribuzione del refluo sulla superficie; la conformazione geometrica di questo sistema dovrà avere un alto grado di simmetria e tutti i punti di uscita del refluo dovranno sottendere un’uguale area e coprire tutta la superficie.
I sistemi comunemente utilizzati vengono realizzati tramite tubazioni per condotte di scarico in materiali plastici quali PE o PVC. L’uscita del refluo può avvenire attraverso apposite tubazioni (realizzabili, ad esempio, con delle curve a 90°), oppure praticando dei forellini di 2-4 mm sulla parte inferiore delle tubazioni.
Il drenaggio delle acque, che percolano nei filtri verticali, è realizzato nello stesso modo dei letti a flusso sommerso orizzontale, ponendo una tubazione microforata su un lato del letto e assicurando una pendenza minima (1-2%) del fondo del letto verso quel lato per favorire l’evacuazione del liquame.
Vantaggi e benefici:
- elevata efficienza depurativa
- ottimo inserimento ambientale
- contenuti costi di investimento e scarsa manutenzione
- consumi energetici nulli
- possibilità di riutilizzo degli effluenti trattati
Svantaggi e limitazioni:
- richiedono un certo ingombro superficiale
Gestione e manutenzione:
- svuotamento periodico dei trattamenti primari con autospurgo-autobotte
- taglio annuale delle essenze vegetali
- controllo periodico del sistema di alimentazione generalmente costituito da pompe centrifughe (SFS-v)
Benefici ambientali:
- ottimo inserimento ambientale, elevate rese depurative anche al variare delle condizioni di carico (a differenza dei fanghi attivi tradizionali)
Sistema SBR
I sistemi SBR (Sequencing Batch Reactors) sono sistemi biologici compatti con funzionamento di tipo discontinuo in cui le fasi caratteristiche dei processi a fanghi attivi si susseguono all’interno dello stesso comparto in sequenza temporale.
Il trattamento delle acque grigie con un sistema SBR è adatto per utenze mono e multi-familiari.
All’interno del sistema SBR, il trattamento delle acque viene effettuato in diversi stadi temporalmente successivi che avvengono in maniera ciclica. Preliminarmente si ha una filtrazione che elimina i materiali più grossolani (come ad esempio capelli o pezzi di tessuto); il filtro viene lavato periodicamente ed automaticamente tramite un’apposita pompa interna al sistema, ed i residui della pulizia del filtro vengono scaricati nella rete fognaria. Successivamente si ha il trattamento biologico vero e proprio, con il funzionamento “batch” tipico di questi sistemi: le fasi di ossidazione e sedimentazione avvengono all’interno del medesimo comparto ad intervalli automaticamente stabiliti tramite una centralina di controllo. I prodotti di scarto della fase di sedimentazione vengono automaticamente espulsi ad intervalli regolari e convogliati alla rete fognaria nera (terzo stadio).
Vantaggi e benefici:
- compattezza dell’intervento
- elevate efficienze depurative e flessibilità rispetto alle variazioni dei carichi in ingresso agendo sulla durata dei diversi cicli
- possibilità di installazione anche all’interno di edifici residenziali ai fini del trattamento e del riutilizzo delle acque grigie
Svantaggi e limitazioni:
- consumi energetici maggiori rispetto ai sistemi di depurazione naturale
- sensibili all’utilizzo di prodotti chimici aggressivi
Gestione e manutenzione:
- funzionamento automatico
- ispezioni periodiche secondo quanto richiesto dai diversi modelli in commercio
- cambio periodico della lampada UV nei sistemi finalizzati al riutilizzo
Benefici ambientali:
- riduzione dei consumi di acqua potabile, riduzione dei quantitativi di acque reflue scaricate in fognatura
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