lunedì 30 novembre 2015

Le tegole fotovoltaiche

Tratto dal sito www.preventivi.it

L’ultima frontiera dell’energia solare è rappresentata dalle tegole fotovoltaiche, la giusta risposta all’esigenza di non impattare troppo su edifici di particolare pregio con pannelli che sono considerati antiestetici da molte persone. L’integrazione tra l’architettura e la necessità energetica degli edifici avviene non più sugli stessi, ma negli stessi, in quanto le tegole fotovoltaicheconsentono la produzione dell’energia pulita direttamente nei coppi che coprono il tetto. In questa ottica le tegole fotovoltaiche consentono la trasformazione del tetto da elemento passivo, adibito alla sola funzione di copertura, a vera e propria tecnologia attiva in grado di dare il suo efficace contributo all’ efficientamento energetico dell’edificio. 
Il funzionamento di questa nuova tecnologia ha come base lo stesso concetto del pannello, in quanto prevede la progettazione di tegole nella cui parte centrale vengono immesse le celle fotovoltaiche da collegare fra loro in serie o in parallelo in modo da creare l’impianto di raccoglimento dell’energia solare da inviare all’inverter deputato a sua volta all’immissione della corrente alternata nella nostra abitazione o nell’ufficio. Le tegole fotovoltaiche possono essere installate su tetti con pendenze variabili da un minimo del 10% ad un massimo del 60%. Proprio la pendenza influisce molto sull’efficienza del fotovoltaico, poiché dall’inclinazione stessa dei raggi del sole dipende la resa della tegola.

Qual è l’efficienza delle tegole fotovoltaiche?

Qual'è la reale efficienza delle tegole fotovoltaiche? È molto difficile rispondere a questa domanda, in quanto le tegole fotovoltaiche rendono a seconda della tipologia di celle fotovoltaiche montate al loro interno ed ai materiali utilizzati. Generalmente le tegole con celle in silicio amorfo rendono meno ma sono in grado di assorbire la luce solare anche in presenza di nuvole o in condizioni di bassa luminosità, mentre le celle in silicio poli o monocristallino hanno bisogno di una quantità di luce solare maggiore per poter esibire un buon funzionamento. In linea di massima per avere 1 kw di potenza necessitano almeno tra 200 e 250 tegole di grandezza simile a quelle classiche un dato che è comunque da considerare approssimativo. 

I vantaggi delle tegole fotovoltaiche

Le tegole fotovoltaiche presentano alcuni sostanziali vantaggi, a partire dalla completa integrazione nella struttura architettonica dell’edificio, tanto da costituire, in genere, dei veri e propri impianti innovativi, sino a rientrare tra i cosiddetti moduli speciali indicati nella guida del Gse , in qualità di applicazioni innovative, finalizzate all’integrazione architettonica del fotovoltaico. Una dote che consente di applicarle anche in situazioni molto delicate come quelle che distinguono edifici di particolare pregio storico, paesaggistico o architettonico, ove cioè diventa impossibile adottare i normali moduli fotovoltaici, i quali andrebbero ad impattare in maniera troppo evidente sul complesso. Inoltre sono molto facili e veloci da installare, soprattutto nel caso si opti per le soluzioni pre-assemblate che sono disponibili in commercio, e che sono in grado di riprodurre le identiche armonizzazioni delle tradizionali tegole in cotto.

Tegole solari fotovoltaiche: le tipologie

Le tegole fotovoltaiche possono essere divise in due principali tipologie: 
a film sottile, che  hanno una lastra flessibile (thin film) fotovoltaica la quale viene incassata all’interno, andando a seguire il profilo curvo della tegola. Rappresentano il top in fatto di integrazione, poiché assomigliano talmente al coppo normale da renderne difficile la distinzione. Alla massima integrazione architettonica, ideale per i centri storici e per il mantenimento del decoro di un edificio, contrappongono però lo svantaggio derivante dalla grande quantità di spazio richiesto, visto che il film, essendo disteso per seguire la curva del coppo, non garantisce il massimo irraggiamento solare. In pratica esige almeno il doppio di superficie rispetto ai moduli fotovoltaici in silicio cristallino, tanto che per poter avere un kwp di potenza occorre installare tra i 15 ed i 18 metri quadrati di tegole fotovoltaiche. 
-a silicio mono o policristallino, con la possibilità di scegliere tra un elevatissimo numero di  soluzioni proposte dai produttori, come quelle tese a integrare i pannelli fotovoltaici dentro la tegola oppure accanto, disponendoli in tanti moduli di diversa grandezza. Rispetto alle tegole fotovoltaiche in film sottile , esigono meno spazio, potendo bastare 7 o 8 metri quadrati per kwp.

Tegole fotovoltaiche: l’ideale per edifici storici


Come abbiamo ricordato, l’utilizzo delle tegole fotovoltaiche si rivela estremamente utile nel caso di edifici storici, per i quali può rivelarsi molto complicato o impossibile montare impianti tradizionali. In questo caso le tegole fotovoltaiche possono consentire di aggirare i divieti di carattere paesaggistico e architettonico. In particolare possono essere utili allo scopo quelle trasparenti, che sono in grado di integrarsi alla perfezione con le tegole preesistenti, facendo in modo da avere un impatto realmente minimo sul tetto. Nei paesaggi di pregio questo modo di inserire il fotovoltaico nel territorio ha il vantaggio di essere quasi invisibile, poco impattante, sino a rivelarsi a volte, anche un gradevole elemento estetico.

Fotovoltaico: quanto costano le tegole

Per quanto riguarda i costi, è abbastanza complicato seguire la loro continua variazione determinata dai rapidi mutamenti delle tecnologie utilizzate in questo settore, che vanno a riflettersi in maniera profonda sui listini. La sicurezza, al momento attuale, riguarda il fatto che il prezzo è sicuramente maggiore del classico impianto fotovoltaico montato sul tetto, sia per quanto riguarda l’acquisto dei materiali necessari per l’impianto, che per la manodopera e l’installazione, anche in considerazione del fatto che il lavoro risulta molto più invasivo. In via di massima, comunque, per un impianto con tegole fotovoltaiche da 3 kwp i prezzi possono oscillare tra i 18 mila ed i 25mila euro. Un prezzo che dipende, in larga parte, da fattori come la tecnologia usata, il produttore e anche la zona di produzione.
Per cercare di capire meglio quale possa essere la resa e, soprattutto, quale possa essere il prodotto più adatto alle proprie esigenze, la cosa migliore da fare è consultare le aziende specializzate nella vendita e nell’installazione di questo particolare dispositivo, professionisti in grado di rispondere in maniera chiara ed esaustiva ad ogni domanda o curiosità.

venerdì 27 novembre 2015

La domotica è il valore della casa

Tratto dal sito www.biblus.acca.it

Grazie alla domotica si possono monitorare e ottimizzare i consumi di elettricità, acqua e gas, controllare i carichi energetici ed impostare i limiti di consumo al fine di eliminare gli sprechi e migliorare l’efficienza energetica, fino ad ottenere un risparmio pari al 40/50% rispetto agli impianti tradizionali.
Avere una casa domotizzata quindi garantisce un ritorno economico immediato in termini di risparmio energetico. Ma non è tutto: la domotica comporta un aumento del valore di mercato della casa grazie a una serie di fattoricome ad esempio il miglioramento della classe energetica dell’edificio, dei requisiti di comfort, benessere e sicurezza.
L’agenzia Immobiliare.it ha svolto infatti un’indagine da cui si evince che il 52% delle abitazioni italiane aumenteranno la loro quotazione di mercato in base ai contenuti tecnologicamente evoluti che tenderanno ad incrementare l’efficienza energetica.
Lo studio mostra, quindi, come stanno mutando le caratteristiche richieste per l’immobile dei propri sogni: vengono richieste sempre più case tecnologiche.  La domotica e l’efficienza più avanzata e innovativa sono le caratteristiche sempre più cercate da chi vuole comprare o affittare.
Un’altra interessante indagine è stata svolta dall’Osservatorio Cresme, secondo cui la ripresa dell’edilizia passa proprio dalla tecnologia.
Lo studio evidenzia, infatti, come in un momento di crisi per il settore dell’edilizia, l’impiantistica elettrica, elettronica e meccanica, cuore della domotica moderna, continua a registrare un trend crescente.
in particolare, la spesa per la realizzazione degli impianti (elettrici elettronici e meccanici) mostra un trend nettamente crescente rispetto al passato: infatti, dal 2008 al 2014 il costo degli impianti rispetto al costo totale è aumentato dal 9,8% al 14,4%.
In particolare:
  • il settore dell’illuminazione a Led, cresce del 577%
  • il settore legato alla domotica cresce del 34%
  • i sistemi antintrusione aumentano del 4%
  • sistemi tecnologici di prevenzione incendi aumentano del 2,2%
  • il settore del riscaldamento-raffreddamento (pompe di calore in gruppi refrigeratori, compressione condizionatori d’aria e di acqua) registra + 20%
  • gli impianti fotovoltaici aumentano del 55%

Il nuovo modello unico per i piccoli impianti fotovoltaici

Tratto dal sito www.biblus.acca.it
A seguito della pubblicazione del decreto 19 maggio 2015, trascorsi già 180 giorni, (V. art. “Fotovoltaico, arriva il modello unico per la realizzazione, la connessione e l’esercizio di piccoli impianti“), è possibile utilizzare dal 24 novembre 2015 il nuovo modello unico piccoli impianti fotovoltaici, al fine di velocizzare e snellire le procedure per l’installazione.

Nuovo modello unico piccoli impianti fotovoltaici, per quali impianti si usa

Il  nuovo modello unico verrà utilizzato esclusivamente per la realizzazione, la connessione e la messa in esercizio degli impianti aventi le seguenti caratteristiche:
  • essere realizzati presso clienti finali già dotati di punti di prelievoattivi in bassa tensione
  • avere potenza nominale non superiore a 20 kW
  • avere potenza non superiore a quella già disponibile in prelievo
  • essere tra quelli per i quali sia contestualmente richiesto l’accesso al regime di scambio sul posto
  • essere realizzati sui tetti degli edifici con le modalità previste dall’articolo 7-bis comma 5 del d.lgs 28/2011
  • non essere in presenza di ulteriori impianti di produzione sullo stesso punto di prelievo
  • essere aderenti o integrati, ossia l’installazione non è subordinata all’acquisizione di atti amministrativi di assenso, inclusa l’autorizzazione paesaggistica

Nuovo modello unico piccoli impianti fotovoltaici: come si compila

Il modello unico è costituito da 2 parti.
Nella prima parte del modello, da compilare prima dell’inizio dei lavori, vanno riportati i seguenti elementi:
• dati anagrafici del richiedente e titolarità del diritto
• data di inizio dei lavori, caratteristiche tecniche dell’impianto e dati catastali dell’immobile interessato
• dati per procedere all’addebito dei costi di connessione (IBAN, carta di credito, addebito in bolletta)
Al modello vanno poi allegati:
• schema elettrico unifilare dell’impianto
• scansione di un documento d’identità
• eventuale delega alla presentazione della domanda
Nella seconda parte del modello, da compilare ad intervento concluso, vanno indicati:
  • la data di ultimazione dei lavori
  • la dichiarazione di corretta esecuzione dei lavori
  • la conformità dell’impianto
  • la conoscenza del contratto e del regolamento di esercizio

Condomino contrario all’installazione di un impianto di videosorveglianza, può non contribuire alla spesa?

Tratto dal sito www.casaeclima.com

Nel caso in cui in sede di assemblea condominiale venga deliberata l’installazione di un impianto di videosorveglianza il condomino, eventualmente contrario, può evitare di pagare la quota di spese che gli spetterebbe in base alla tabella millesimale?
No. La videosorveglianza, infatti, è uno di quegli impianti la cui installazione è stata liberalizzata con l’entrata in vigore della riforma del condominio (Legge, 11 dicembre 2012 n. 220, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 17 dicembre 2012). In particolare la legge citata ha introdotto nel Codice civile un articolo ad hoc dedicato a queste installazioni, ovvero l’articolo 1122-bis che, essendo collocato quale appendice dell’articolo 1122, si delinea quale sua disposizione speciale che disciplina opere del tutto particolari con un proprio iter procedurale.

L’Articolo in parola prevede che la delibera di installazione possa essere approvata con la maggioranza semplice, ossia con l’assenso della maggioranza dei presenti che devono rappresentare almeno 500 millesimi.

Non si tratta più, quindi, di una innovazione e di conseguenza il condomino dissenziente non può evitare di partecipare alla spesa.

Il degrado del calcestruzzo: cause e rimedi

Le cause del degrado del calcestruzzo

Il calcestruzzo è un materiale utilizzato dai millenni, sin dal tempo dei romani, quando parecchie opere erano realizzate utilizzando il calcestruzzo, contenente spesso pietra pomice come materiale inerte; anche la cupola del Pantheon è realizzata con questo materiale.


Contrariamente però a quanto si riteneva in passato, il calcestruzzo non è un materiale che dura in eterno, ma è soggetto a degrado, tanto più veloce quanto più la qualità del calcestruzzo è bassa o l’ambiente è aggressivo.

Un calcestruzzo armato del tipo faccia a vista è composto da calcestruzzo con all’interno acciaio sagomato i quali, combinando le proprietà di entrambi i materiali, vanno a formare una struttura solida perfetta per le costruzioni edili.

L’acciaio viene sagomato a forma di “gabbia”, e viene annegato nel calcestruzzo andando a formare svariate forme geometriche, dove comunque l’acciaio stesso rimane sempre all’interno del calcestruzzo, dal quale viene sempre ricoperto per proteggerlo dai fenomeni di ossidazione.

Questo spessore, chiamato nel linguaggio tecnico “copriferro”, può avere dimensioni variabili a seconda dell’epoca di realizzazione, del luogo e delle funzioni che deve svolgere.

Il calcestruzzo, appena realizzato, è altamente alcalino, e questa caratteristica permette allo stesso di proteggere in maniera adeguata il ferro di armatura; questa alcalinità, però, si perde con il passare degli anni, a causa di alcuni fattori che sono:
  Azione erosiva dell'acqua di pioggia che ha una alta acidità,
  Azione erosiva provocata dalla anidride carbonica,
  Azione erosiva del vento,
  Cicli di gelo disgelo.

Questi fattori combinati fra loro aumentano l’acidità e la porosità del calcestruzzo, creando delle vie di accesso dove l'acqua può penetrare all'interno della struttura, intaccando il copriferro.
Inoltre si sviluppano processi chimici che favoriscono il formarsi della carbonatazione, una reazione lenta e non regolare che negli anni arriva ad intaccare le strutture ferrose, provocando ossidazione e quindi la formazione di ruggine.
Questa ossidazione provoca un aumento del volume del ferro, creando crepe e spaccature, che con il tempo e i cicli di gelo disgelo possono provocare il distacco di elementi di calcestruzzo.

Questi processi hanno una durata variabile, e solitamente necessitano di molti anni prima di verificarsi, a seconda dello spessore del copriferro, della porosità del calcestruzzo, della esposizione delle pareti.


Una struttura di calcestruzzo non ha quindi una durata eterna, ma è soggetta, come tutte le strutture edilizie, ad interventi periodici di manutenzione, per garantire le condizioni iniziali di stabilità, staticità, durata e sicurezza.
Un qualsiasi immobile necessita di interventi di manutenzione, per garantire le condizioni di cui sopra e, soprattutto in immobili condominiali, per salvaguardare i proprietari da eventuali cause per responsabilità civile a seguito di danni provocati da carenza di manutenzione dell’immobile.

Conseguenze del deperimento del calcestruzzo

Il deperimento del calcestruzzo, con conseguente ossidazione dell’acciaio di armatura, può provocare, a lungo termine, la riduzione della resistenza statica della struttura, soprattutto in caso di eventi sismici di un certo rilievo.
Nel breve termine la conseguenza più rilevante, oltre a quella estetica, è il distacco di pezzi di calcestruzzo, che possono cadere al suolo, con il rischio di colpire persone o cose, con conseguente configurarsi di responsabilità civile ai sensi degli artt. 2051 e 2053 CC e responsabilità penale ai sensi dell’Art. 40 del C.P.

I rimedi

Il miglior rimedio, prima che il ferro d’armatura sia troppo deteriorato (che richiede importanti interventi di ripristino statico), è quello di procedere con un intervento di ripristino che si compone di varie fasi, ognuna con un compito diverso, che restituiscono il copriferro deteriorato ed una superficie pronta a resistere per tanti anni ancora.

Le fasi del processo di ripristino sono:
1.      Pulizia: consiste nel rimuovere tutto il calcestruzzo deteriorato fino ad arrivare a quello sano, mediante scalpellatura, e pulire l’acciaio dalla ruggine, mediante spazzolatura con spazzole di acciaio o sabbiatura;
2.      Protezione dei ferri: si effettua mediante idonei prodotti convertitori di ruggine, che vengono applicati a pennello, i quali avranno anche il compito di proteggere il ferro da futuri attacchi di ossidazione;
3.      Ripristino: consiste nel ripristinare lo strato di copriferro mediante applicazione di idonee malte tissotropiche o fibrorinforzate, idonee per l’applicazione in piccoli spessori;
4.      Regolarizzazione: consiste nella regolarizzazione dello strato superficiale, sempre con idonee malte protettive, che hanno appunto il compito di proteggere il calcestruzzo e offrire un effetto estetico apprezzabile;
5.      Verniciatura: è infine consigliabile la verniciatura finale con prodotti protettivi, che possano coprire anche le zone di calcestruzzo su cui non si è intervenuti.

È importante chiarire che queste lavorazioni sono impegnative e vanno eseguite da manodopera qualificata, con la consulenza di un professionista che possa consigliare le migliori metodologie e prodotti con cui intervenire.


Gianluca Roscini 

lunedì 23 novembre 2015

Il nuovo Bonus Mobili.

Come riportato ne "Il Sole 24 Ore" di oggi lunedi 23 novembre, dal 2016 il Bonus mobili raddoppia.
Ora ne potrà usufruire non solo chi ristruttura casa, ma anche le giovani coppie che acquistano casa.

Ecco come funziona:

Ristrutturazione

Chi ristruttura casa e acquista nuovi mobili può beneficiare della detrazione del 50% da dividere in 10 anni per una spesa massima di € 10.000,00;
Per usufruirne occorre eseguire lavori di manutenzione straordinaria e iniziare il cantiere prima dell'acquisto dei nuovi mobili.

Acquisto della casa

Chi acquista casa e acquista nuovi mobili può beneficiare della detrazione del 50% da dividere in 10 anni per una spesa massima di € 16.000,00;
Per usufruirne occorre essere una coppia sposata o una coppia more uxorio che abbia costituito nucleo familiare da almeno 3 anni, in cui almeno uno dei due componenti abbia meno di 35 anni.
Si può accedere al beneficio se si acquista una casa da adibire ad abitazione principale.

venerdì 20 novembre 2015

Il recupero dell'acqua piovana

TRATTO DAL SITO www.biblus.acca.it

L’acqua è una risorsa preziosa e in quanto tale va gestita in maniera sostenibile (V. art. “Gestione sostenibile dell’acqua: opportunità, vantaggi e modalità operative“).
In questo nuovo articolo trattiamo le tecniche e i sistemi per il recupero dell’acqua piovana.

Recupero acqua piovana, come funziona

Le acque meteoriche rappresentano una fonte rinnovabile e locale e richiedono trattamenti semplici ed economici per un loro utilizzo, ristretto a certe applicazioni.
In generale, gli impieghi che si prestano al riutilizzo delle acque meteoriche riguardano usi esterni, come:
  • l’irrigazione di aree a verde, prati, giardini, orti
  • il lavaggio di aree pavimentate (strade, piazzali, parcheggi)
  • il lavaggio di autovetture
  • usi tecnologici (ad esempio acque di raffreddamento)
  • alimentazione di vasche antincendio
e usi interni agli organismi edilizi, come:
  • l’alimentazione delle cassette di risciacquo dei WC
  • l’alimentazione di lavatrici
  • usi tecnologici relativi, come ad esempio sistemi di climatizzazione passiva/attiva
Da un punto di vista impiantistico un intervento di recupero di acque meteoriche è costituito da una rete di raccolta, adduzione e successiva distribuzione delle acque recuperate, da un sistema di trattamento adeguato delle acque raccolte, da un serbatoio di accumulo e infine da un sistema di pompaggio per il riuso.
Schema di un sistema di raccolta della pioggia
Schema di un sistema di raccolta della pioggia
Forse l’aspetto più critico della progettazione di un sistema di raccolta della pioggia è la stima delle quantità di acque ottenibili in funzione delle superfici di raccolta a disposizione e del volume necessario ad immagazzinarle, che dipende dalla distribuzione media delle piogge e dalle variazioni di uso nei diversi periodi.
Le acque meteoriche richiedono un trattamento adeguato che dipende prevalentemente dalla destinazione d’uso del loro riutilizzo, in funzione del quale vengono definiti gli obiettivi depurativi, ma anche dalla durata del periodo di tempo secco antecedente all’evento piovoso: è proprio durante tale periodo, infatti, che si verifica il deposito di materiali solidi e di inquinanti sulle superfici impermeabilizzate che vengono dilavate dalle acque meteoriche.
In genere i sistemi di rainwater harvesting tendono a raccogliere le acque che non rischiano di essere contaminate: si limitano quindi ad usare come superfici di raccolta i tetti o i terrazzi delle case.
Nei casi più comuni per il trattamento delle acque meteoriche dei tetti è sufficiente un’efficace azione di filtrazione: al filtro viene principalmente richiesto di trattenere il materiale che, sedimentando nel serbatoio, porterebbe ad un deterioramento della qualità dell’acqua e al rischio di intasamento delle condotte e del sistema di pompaggio.

Recupero acqua piovana, elementi costitutivi

Un impianto per il riutilizzo dell’acqua meteorica proveniente dai tetti è costituito essenzialmente dai seguenti elementi:
  • sistema di raccolta: composto da superficie di raccolta, converse, canali di gronda, bocchettoni, pluviali, pozzetti di drenaggio, caditoie, tubazioni di raccordo
  • filtro
  • serbatoio di accumulo con scarico di troppo pieno
  • pompa
  • sistema di distribuzione (dotato di sistema di reintegro con acqua potabile)
Il volume di acqua necessario dipende quindi dalla tipologia di utilizzo e dagli impieghi delle acque recuperate (irrigazione, cassette di risciacquo dei WC, elettrodomestici, etc.).
 Esempio di recupero delle acque meteoriche dei tetti per usi interni all’abitazione, tramite l’utilizzo di un filtro (2) e di un serbatoio di stoccaggio (1) (Fonte: http://www.3ptechnik.de )
Esempio di recupero delle acque meteoriche dei tetti per usi interni all’abitazione, tramite l’utilizzo
di un filtro (2) e di un serbatoio di stoccaggio (1) (Fonte: http://www.3ptechnik.de )

Sistemi di filtrazione

Si tratta di sistemi di filtrazione compatti per il trattamento delle acque meteoriche dei tetti da installare interrati prima del serbatoio di accumulo o direttamente sui pluviali.
Il sistema di filtrazione costituisce uno dei componenti principali dei sistemi di recupero e riutilizzo delle acque meteoriche in quanto serve ad evitare l’immissione nel serbatoio di detriti e altri materiali in sospensione.
Esistono in commercio numerosi dispositivi, da installare direttamente a monte dell’accumulo (sui pluviali, fuori terra, interrati, integrati al serbatoio), grazie ai quali è possibile intercettare i materiali solidi depositatisi sulle superfici di raccolta durante il periodo secco. Dispositivi di questo genere vanno dalle semplici griglie per il trattenimento del fogliame da installare sulle calate a sistemi di filtrazione autopulenti posti in pozzetti interrati, in grado di intercettare la maggior parte dei solidi contenuti nelle acque di pioggia.
L’efficienza di recupero di questi dispositivi è generalmente intorno al 70-80%, poiché parte delle acque di pioggia viene separata, utilizzata per l’autopulizia dei filtri e smaltita in fognatura.

Filtro nel pluviale

E’ costituito in genere da una griglia metallica (con fori di diametro inferiore anche ai 2 decimi di millimetro) sagomata a tronco di cono, rastremata verso il basso e capace di trattenere residui di vario genere (muschi, licheni, foglie, sabbie, polveri, ecc.).
La porzione d’acqua che penetra attraverso il filtro viene deviata esternamente al pluviale e inviata allo stoccaggio (di solito costituito da serbatoi fuori terra collocati al piede degli stessi pluviali), mentre i residui intercettati e dilavati dalla rimanente acqua vengono convogliati verso il sistema di smaltimento.

Filtro centrifugo

Dispositivo generalmente interrato composto da una camera filtrante accessibile mediante un’apertura superiore dotata di coperchio.
Viene sfruttato il principio della velocità d’ingresso dell’acqua immessa tangenzialmente. Gli eventuali corpi sospesi vengono intercettati da una griglia con maglie di 0,2 mm di apertura.
20-Filtro-centrifugo

Filtro autopulente

L’azione di filtraggio è esercitata da una maglia a rete che permette il passaggio dell’acqua pulita nella sezione sottostante.
In occasione di eventi meteorici intensi tutte le acque non riescono a filtrare attraverso la maglia, per cui le acque di seconda pioggia vengono smaltite da una seconda tubazione in linea con quella di entrata, dilavando al tempo stesso la maglia filtrante.
Questi filtri richiedono in realtà una pulitura della maglia frequente dopo gli eventi meteorici meno intensi, in quanto la rete tende ad ostruirsi diminuendo i volumi recuperati. Sono però disponibili anche unità con contro lavaggio che permettono la pulitura automatica della cartuccia filtrante.
21-Filtro-autopulente
Vantaggi e benefici
  • permettono il recupero delle acque meteoriche dei tetti esercitando un’efficace azione di filtraggio
  • generalmente non richiedono acqua o prodotti chimici per la pulizia
  • ingombro ridotto (interrati o direttamente sul pluviale)
Svantaggi e limitazioni
  • efficace solo nella rimozione dei solidi sospesi
  • applicabile solo in zone residenziali
Gestione e manutenzione
  • pulizia periodica per i modelli non autopulenti
  • ispezione annuale dell’intero sistema di recupero
Benefici ambientali
  • possibilità di recupero delle acque meteoriche dei tetti con conseguente riduzione dei consumi di acqua potabile

I Sistemi di filtrazione vegetati

Nel caso in cui è necessario un trattamento più spinto delle acque meteoriche dei tetti (ad esempio in zone densamente urbanizzate con elevato inquinamento atmosferico), si può far ricorso a tecniche naturali come i sistemi di filtrazione vegetati.
Questa soluzione consente il recupero di tutte le acque meteoriche dei tetti (non sono cioè previsti scarichi in fognatura pubblica) ed assicura un livello di trattamento molto elevato. In tali sistemi infatti si prevede la percolazione delle acque meteoriche all’interno di un mezzo filtrante (sabbia e ghiaia), piantumato con appropriate essenze vegetali. I meccanismi depurativi che avvengono al suo interno sono sia di tipo meccanico (filtrazione) che biologici (del tutto simili a quelli che avvengono in un sistema di fitodepurazione e  meglio descritti in seguito).
I sistemi di filtrazione vegetati sono trattamenti di tipo estensivo mutuati dai sistemi a flusso sommerso verticale. Le acque meteoriche percolano (a gravità o con sistema di pompaggio a seconda della morfologia del sito) all’interno di vasche riempite con inerti di varia granulometria (sabbia e ghiaia) e piantumate sia con macrofite acquatiche aventi anche una certa valenza ornamentale quali Eupatorium cannabium, Iris Pseudacorus, Lythrum Salicaria, che con altre specie non acquatiche e più puramente estetiche.
Il sistema viene dimensionato per assicurare la percolazione del volume di prima pioggia; può essere realizzata sia un’unica vasca che più vasche di dimensioni più piccole, sia interrate che fuori terra.
La forma, le modalità realizzative, i materiali impiegati per il supporto e le essenze vegetali da inserire possono essere scelti di volta in volta, di modo che il sistema nella sua configurazione finale, oltre a svolgere la sua funzione impiantistica, possa essere considerato come elemento di arredo.
Filtro vegetato per il recupero delle acque meteoriche (Preganziol, TV)
Filtro vegetato per il recupero delle acque meteoriche (Preganziol, TV)
Vantaggi e benefici
  • elevata efficienza depurativa
  • ottimo inserimento ambientale
  • contenuti costi di investimento e scarsa manutenzione
  • consumi energetici nulli
  • possibilità di riutilizzo degli effluenti trattati
Svantaggi e limitazioni
  • richiedono un certo ingombro superficiale
Gestione e manutenzione
  • svuotamento periodico dei trattamenti primari con autospurgo-autobotte
  • taglio annuale delle essenze vegetali
Benefici ambientali
  • ottimo inserimento ambientale, elevate rese depurative anche al variare delle condizioni di carico (a differenza dei fanghi attivi tradizionali)

La separazione, il trattamento e il riuso delle acque grigie

Gli scarichi provenienti da un’abitazione domestica si dividono, convenzionalmente, in acque grigie e acque nere.
Le acque grigie sono circa il 70% dei consumi domestici e hanno caratteristiche chimiche che ne permettono un trattamento più facile: quindi raccogliendole separatamente e trattandole si producono quantità importanti di acqua riutilizzabile per quasi tutti gli usi non potabili.
Alle acque nere, spesso, conviene unire anche gli scarichi provenienti dal lavabo della cucina che, pur non essendo particolarmente contaminati, contengono una grande quantità di solidi (residui di cibo e dei lavaggi, polvere di caffè, ecc.).
In questo modo la ripartizione tra acque grigie e nere si attesta su un rapporto di 60 a 40 %.
Una importante differenza tra acque grigie e acque nere consiste nella diversa velocità di degradazione degli inquinanti.
Si potrebbe pensare che le acque grigie, che contengono saponi e altri residui di prodotti per l’igiene domestica, siano meno biodegradabili.
In realtà avviene l’esatto contrario: le acque grigie si depurano più rapidamente e facilmente delle acque nere. Quindi, nelle nostre case produciamo circa il 60% di acque di scarico grigie, inquinate da sostanze facilmente biodegradabili, poco contaminate da batteri e virus patogeni, la cui gestione non comporta particolari rischi sanitari. Il restante 40% invece sono acque nere, il cui trattamento è più complesso, sia dal punto di vista biochimico che microbiologico.
In molti paesi la pratica del riutilizzo delle acque grigie si sta ormai diffondendo rapidamente, ricorrendo a soluzioni tecnologiche molto diverse.
Schema tipo di riuso delle acque grigie.
Schema tipo di riuso delle acque grigie
Lo schema tipico di un sistema di separazione e riuso delle acque grigie è quello riportato in figura.
Le acque provenienti da docce e lavabi sono raccolte, trattate e inviate, tramite una pompa, ai punti di riutilizzo: in genere lo scarico dei WC, la lavatrice e alcuni rubinetti di acqua non potabile da destinare al lavaggio pavimenti, spazi esterni, irrigazione, ecc.
La pratica della depurazione locale e riuso delle acque grigie si sta diffondendo abbastanza rapidamente nei paesi in cui è maggiore il costo dell’acqua. Per questo, alcune case produttrici hanno messo in commercio sistemi di depurazione estremamente compatti e automatizzati, installabili facilmente anche in una cantina.
Tra le soluzioni più interessanti vi sono certamente gli impianti che prevedono il trattamento mediante sistemi di fitodepurazione, integrati nell’arredo a verde degli edifici.

Tecnologie per il riuso delle acque grigie

Un impianto di trattamento delle acque grigie dovrà garantire un’efficiente rimozione del carico organico e della carica batterica e dovrà essere caratterizzato da semplicità ed economicità di gestione e manutenzione.
Gli elementi base di un sistema di trattamento sono:
  • degrassatore (per le cucine)
  • trattamento primario
  • trattamento secondario
  • disinfezione
Le soluzioni più interessanti ed ecosostenibili per il trattamento delle grigie sono rappresentate da sistemi naturali di fitodepurazione a flusso sommerso (SFS-h o SFS-v) (Scheumann et al, 2009).
Tali sistemi oltre a garantire un’elevata efficienza di trattamento si inseriscono gradevolmente nelle pertinenze degli edifici andando a costituire parte integrante dell’arredo a verde.
Nel caso in cui non siano disponibili gli spazi necessari a tecniche estensive, si può ricorrere a sistemi compatti come SBR (Sequencing Batch Reactor) o MBR (Membrane Reactor); generalmente si tratta di sistemi interrabili, ma esistono in commercio alcune soluzioni impiantistiche adatte anche all’installazione all’interno degli edifici (ad esempio nei garage o negli scantinati), permettendo oltretutto di risparmiare per quanto riguarda le tubazioni esterne.

Tecniche di fitodepurazione

Le tecniche di fitodepurazione rappresentano una tipologia impiantistica che si adatta perfettamente al trattamento delle acque grigie: in particolare, a parità di carico idraulico trattato, la loro efficienza è maggiore nell’abbattimento del carico organico presente nelle acque grigie, rispetto al caso in cui abbiamo anche le nere.
Essendo sistemi a “biomassa adesa” risentono in maniera molto minore rispetto ai tradizionali impianti a fanghi attivi delle variazioni di concentrazioni di inquinanti nel refluo. Inoltre hanno dimostrato un’elevata efficacia nell’abbattimento della carica batterica, comunque presente in quantitativi molto limitati all’interno delle acque grigie.
Tra le varie tipologie di sistemi di fitodepurazione, quelle a flusso sommerso presentano spiccati vantaggi rispetto a quelli a flusso superficiale: il flusso sub-superficiale limita infatti fortemente il rischio di odori, lo sviluppo di insetti, e può consentire l’utilizzo della zona adibita all’impianto da parte del pubblico, permettendo così anche l’inserimento in sistemazioni a verde di complessi edilizi.
I sistemi SFS-h (flusso sommerso orizzontale) sono costituiti da vasche contenenti materiale inerte con granulometria prescelta al fine di assicurare una adeguata conducibilità idraulica (i mezzi di riempimento comunemente usati sono sabbia, ghiaia, pietrisco); tali materiali inerti costituiscono il supporto su cui si sviluppano le radici delle piante emergenti (sono comunemente utilizzate le cannuccie di palude o Phragmites australis ma possono essere utilizzate anche altre specie acquatiche come Juncus Effusus e Typha latifolia, altre in combinazione con esse per migliorarne l’inserimento, come ad esempio il giaggiolo acquatico o Iris Pseudacorus); il fondo delle vasche deve essere opportunamente impermeabilizzato facendo uso di uno strato di argilla, possibilmente reperibile in loco, in idonee condizioni idrogeologiche o come più comunemente accade, di membrane sintetiche (HDPE o LDPE 2 mm di spessore).
Il flusso idraulico dei liquami rimane costantemente al di sotto della superficie e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto.
 Sistema SFS-h (fonte: Iridra)
Sistema SFS-h (fonte: Iridra)
La forma di una vasca a flusso sommerso orizzontale deve essere preferibilmente rettangolare; la pendenza del fondo del letto può variare dall’1 al 5%, compatibilmente con i calcoli di verifica sulla geometria della vasca.
Il sistema di distribuzione del refluo in ingresso è generalmente costituito da una tubazione con elementi di distribuzione a T, collocata al di sotto della superficie del riempimento.
I sistemi di uscita sono spesso realizzati con una tubazione drenante posta sul fondo, al piede della scarpata della vasca, per tutta la sua larghezza, e collegata con una tubazione ad un pozzetto, in cui è alloggiato un dispositivo che garantisce la regolazione del livello idrico all’interno del sistema; ciò permette di regolare il livello di refluo nella vasca secondo le esigenze funzionali del sistema stesso.
Sistema a flusso sommerso orizzontale SFS-h per il trattamento delle acque grigie (Comune di Preganziol (Tv), 240 ae)
Sistema a flusso sommerso orizzontale SFS-h per il trattamento delle acque grigie (Comune di Preganziol )
Anche sistemi VF sono costituiti da vasche impermeabilizzate contenenti materiale inerte con granulometria prescelta.
Il refluo da trattare scorre verticalmente nel medium di riempimento (percolazione) e viene immesso nelle vasche con carico alternato discontinuo. Questa metodologia con flusso intermittente (reattori batch) implica l’impiego di un numero minimo di due vasche in parallelo per ogni linea che funzionano a flusso alternato, in modo da poter regolare i tempi di ri-ossigenazione del letto variando frequenza e quantità del carico idraulico in ingresso, mediante l’adozione di dispositivi a sifone autoadescante opportunamente dimensionati o di sistemi di pompaggio adeguati.
Sistema SFS-v (fonte: Iridra)
Sistema SFS-v (fonte: Iridra)
Il medium di riempimento è costituito da alcuni strati di ghiaie e sabbie di dimensioni variabili, partendo da uno strato di sabbia alla superficie per arrivare allo strato di pietrame posto sopra al sistema di drenaggio sul fondo.
Questi sistemi hanno la prerogativa di consentire una notevole diffusione dell’ossigeno anche negli strati più profondi delle vasche (durante lo svuotamento periodico delle vasche), giacché la diffusione di questo elemento è circa 10.000 volte più veloce nell’aria che nell’acqua, e di alternare periodi di condizioni ossidanti a periodi di condizioni riducenti.
27-Tecniche-di-fitodepurazione-4I tempi di ritenzione idraulici nei sistemi a flusso verticale sono abbastanza brevi; la sabbia superficiale diminuisce la velocità del flusso il che favorisce sia la denitrificazione sia l’assorbimento del fosforo da parte della massa filtrante.
Un ulteriore aspetto positivo dei sistemi VF consiste nella maggiore protezione termica dei liquami nella stagione invernale.
Il sistema di alimentazione delle vasche deve garantire una uniforme distribuzione del refluo sulla superficie; la conformazione geometrica di questo sistema dovrà avere un alto grado di simmetria e tutti i punti di uscita del refluo dovranno sottendere un’uguale area e coprire tutta la superficie.
I sistemi comunemente utilizzati vengono realizzati tramite tubazioni per condotte di scarico in materiali plastici quali PE o PVC.  L’uscita del refluo può avvenire attraverso apposite tubazioni (realizzabili, ad esempio, con delle curve a 90°), oppure praticando dei forellini di 2-4 mm sulla parte inferiore delle tubazioni.
Il drenaggio delle acque, che percolano nei filtri verticali, è realizzato nello stesso modo dei letti a flusso sommerso orizzontale, ponendo una tubazione microforata su un lato del letto e assicurando una pendenza minima (1-2%) del fondo del letto verso quel lato per favorire l’evacuazione del liquame.
Vantaggi e benefici:
  • elevata efficienza depurativa
  • ottimo inserimento ambientale
  • contenuti costi di investimento e scarsa manutenzione
  • consumi energetici nulli
  • possibilità di riutilizzo degli effluenti trattati
Svantaggi e limitazioni:
  • richiedono un certo ingombro superficiale
Gestione e manutenzione:
  • svuotamento periodico dei trattamenti primari con autospurgo-autobotte
  • taglio annuale delle essenze vegetali
  • controllo periodico del sistema di alimentazione generalmente costituito da pompe centrifughe (SFS-v)
Benefici ambientali:
  • ottimo inserimento ambientale, elevate rese depurative anche al variare delle condizioni di carico (a differenza dei fanghi attivi tradizionali)

Sistema SBR

I sistemi SBR (Sequencing Batch Reactors) sono sistemi biologici compatti con funzionamento di tipo discontinuo in cui le fasi caratteristiche dei processi a fanghi attivi si susseguono all’interno dello stesso comparto in sequenza temporale.
28-Sistema-SBR_2
Il trattamento delle acque grigie con un sistema SBR è adatto per utenze mono e multi-familiari.
All’interno del sistema SBR, il trattamento delle acque viene effettuato in diversi stadi temporalmente successivi che avvengono in maniera ciclica. Preliminarmente si ha una filtrazione che elimina i materiali più grossolani (come ad esempio capelli o pezzi di tessuto); il filtro viene lavato periodicamente ed automaticamente tramite un’apposita pompa interna al sistema, ed i residui della pulizia del filtro vengono scaricati nella rete fognaria. Successivamente si ha il trattamento biologico vero e proprio, con il funzionamento “batch” tipico di questi sistemi: le fasi di ossidazione e sedimentazione avvengono all’interno del medesimo comparto ad intervalli automaticamente stabiliti tramite una centralina di controllo. I prodotti di scarto della fase di sedimentazione vengono automaticamente espulsi ad intervalli regolari e convogliati alla rete fognaria nera (terzo stadio).
Vantaggi e benefici:
  • compattezza dell’intervento
  • elevate efficienze depurative e flessibilità rispetto alle variazioni dei carichi in ingresso agendo sulla durata dei diversi cicli
  • possibilità di installazione anche all’interno di edifici residenziali ai fini del trattamento e del riutilizzo delle acque grigie
Svantaggi e limitazioni:
  • consumi energetici maggiori rispetto ai sistemi di depurazione naturale
  • sensibili all’utilizzo di prodotti chimici aggressivi
Gestione e manutenzione:
  • funzionamento automatico
  • ispezioni periodiche secondo quanto richiesto dai diversi modelli in commercio
  • cambio periodico della lampada UV nei sistemi finalizzati al riutilizzo
Benefici ambientali:
  • riduzione dei consumi di acqua potabile, riduzione dei quantitativi di acque reflue scaricate in fognatura